La realizzazione della centrale a biomasse nel territorio di Agnone deve essere vista come una opportunità di crescita per le aziende agricole e gli allevamenti del posto contrariamente a quanto sostiene la Soprintendenza del Molise che di fatto ha bocciato il progetto. Ne è convinto l’ingegnere Luigi Norgia, già consulente del ministero dell’Ambiente che ha prodotto le controdeduzioni al parere negativo della Soprintendenza Archeologica delle Belle Arti e del Paesaggio del Molise. Nelle quindici pagine, il professionista scrive: «La centrale non può essere paragonabile ad un impianto industriale poiché esso si pone a chiusura del ciclo agricolo e zootecnico. Tale intervento offre alle aziende agricole e agli allevamenti dell’area una nuova possibilità di guadagno dando così slancio ad un settore che rappresenta un elemento identitario del Molise e che al momento è fortemente in crisi. L’intervento va a rafforzare l’identità del luogo consentendo la sostenibilità economica delle attività agricole e pastorali. Se è vero che l’impianto ricade in un contesto territoriale sottoposto a tutela paesaggistica – prosegue Norgia – la scelta e l’individuazione del terreno è stata fatta proprio per minimizzare l’impatto visivo dell’impianto che è stato ubicato in un’area isolata e nascosta, indipendentemente dalla destinazione catastale, caratterizzata per lo più da pascoli cespugliati, non direttamente visibile dalla strada provinciale 73, evitando di spostare l’impianto più a valle dove è presente un territorio caratterizzato da pascoli e appezzamenti coltivati». La centrale a biomasse di una potenza nominale pari a 800 Kw sarà alimentata per la produzione di biometano ottenuto dalla raffinazione di biogas proveniente dalla fermentazione anaerobica con prodotti e sottoprodotti quali il letame liquami zootecnici, sansa, pollina e siero.
«In termini di emissioni dirette di CO2 – chiarisce nella sua relazione Norgia inviata alla Soprintendenza – il biometano emette il 23% in meno rispetto alla benzina e il 9% in meno rispetto al gasolio.
Tuttavia il vero vantaggio del biometano è evidente quando si considera l’intero ciclo di vita del combustibile, infatti calcolare correttamente il contributo che l’impianto in esame porta al bilancio ambientale, occorre partire dalla consapevolezza che l’utilizzo di biometano come carburante produce ed emette in atmosfera CO2 di origine agricola e non fossile, quindi ad impatto climatico (effetto Serra) nullo. Dunque con l’impiego del biogas non si toglie e non si aggiunge nulla al CO2 presente in atmosfera. Pertanto, si può parlare di neutralità, di invarianza del bilancio ambientale. Sta di fatto che la produzione di biometano da fonte rinnovabile biogas comporta una riduzione globale di emissioni di CO2». Ed ancora per ciò che riguarda i vincoli di natura archeologica, Norgia replica alla Soprintendenza la quale ha espresso perplessità sulla localizzazione del sito non molto distante dall’area archeologica di Valle San Lorenzo. «È il caso di precisare che la definizione non molto distante non trova riscontri in primis perché l’area archeologica risulta ben perimetrata dalla strumento urbanistico vigente e dista non meno di chilometri dal sito individuato per l’ubicazione dell’impianto e soprattutto in quanto analoga analisi non è stata effettuata allorquando sono stati autorizzati ben cinque impianti tuttora esistenti. Da non sottovalutare la costruzione del viadotto San Lorenzo. Questi interventi hanno comportato movimenti del terreno non trascurabili senza alcun rinvenimento di reperti».
Inoltre la Neoagroenergie srl, società romana chiamata a realizzare l’opera si impegna a portare da 18 a cinque metri l’altezza della torre dalla quale è prevista la fuoriuscita di biogas naturale due o tre volte l’anno solo al momento della manutenzione dell’impianto e che dalla torre fuoriescono solo sostanze contenute all’interno di sottoprodotti agricoli e zootecnici. Infine, l’ingegnere Luigi Norgia punta l’attenzione sulle ricadute occupazionali. «La realizzazione dell’impianto a biogas comporterà benefici in termini lavorativi con particolare riferimento al settore agricolo e dei trasporti locali. Parliamo per lo meno di 15 unità di posti di lavoro indiretti ai quali bisogna aggiungere la forza lavoro che sarà impiegata nell’impianto, senza calcolare il coinvolgimento di ditte e manodopera locali in fase di costruzione della centrale».

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