Culmina domani, il 23 maggio, a 28 anni alla strage di Capaci, la cosiddetta settimana nazionale della legalità. Il 23 maggio è la giornata scelta per commemorare la morte del magistrato simbolo della lotta alla criminalità organizzata, Giovanni Falcone, avvenuta con il cosiddetto “attentatuni”, 500 kg di tritolo che fecero saltare per aria centinaia di metri dell’autostrada Palermo-Punta Raisi, allo svincolo per Capaci. Morirono la moglie Giovanna Morvillo e i tre agenti della scorta, Rocco Di Cillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro. Nell’occasione abbiamo intervistato il professor Vincenzo Musacchio, esperto di criminalità organizzata.
Professor Musacchio, il 23 maggio si rinnova la giornata della legalità contro tutte le mafie, che significato ha oggi, a 28 anni dalle stragi siciliane? Ogni volta che incontro i miei ragazzi nelle scuole d’Italia, faccio ascoltare loro il boato dell’esplosione che ci fu a Capaci. L’effetto sonoro fa tremare i muri delle aule dove discutiamo e ci confrontiamo sui temi che riguardano le mafie. Da quel fragore terribile cerco di stimolare in loro la forza dell’esempio che ci hanno lasciato Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, gli uomini della sua scorta, Vito Schifani, Rocco Di Cillo, Antonio Montinaro e tutte le vittime innocenti di mafia del periodo stragista. Li hanno ammazzati fisicamente ma moralmente le loro idee e il loro senso del dovere devono continuare a camminare nelle gambe dei nostri giovani: questo vuol dire ricordare oggi Giovanni Falcone e con lui tutte le vittime della criminalità organizzata. E’ questa l’ultima speranza che ci resta giacché le mafie sono diventate molto più potenti di allora.
La mafia sembra una parola desueta, fuori moda, ma le organizzazioni criminali si adeguano ai tempi, che rischio c’è di ingerenza negli affari economici nel post Pandemia?
La mafia è nel suo ambiente ideale quando c’è un’emergenza in atto. Questa sua caratteristica le consente di infiltrarsi nel sistema economico e imprenditoriale. Le crisi, lo dicono gli atti giudiziari, sono sempre state le più ghiotte occasioni per le organizzazioni criminali per riciclare e investire i loro soldi sporchi. In Italia ci sono molte piccole e medie imprese e l’emergenza Coronavirus ha già tolto ossigeno ad alcune di esse. Sono già stati colpiti gli albergatori e tutti gli altri operatori legati all’intera filiera turistica (alberghi, strutture ricettive, agenzie di viaggi, di eventi), il trasporto aereo e la gestione degli aeroporti, il settore automobile, gli autonoleggi, le attività legate a benessere e bellezza (parrucchieri e centri estetici). Alla fine di questa epidemia purtroppo – spero di sbagliarmi – molti imprenditori saranno a un passo dal fallimento, di conseguenza o dovranno chiudere o svendere. Le nuove mafie aspettano il momento opportuno per investire i loro soldi sporchi rilevando le imprese in crisi. Questa è la mafia che non spara più, ma fa affari ai più alti livelli con politica e imprenditoria.
La criminalità organizzata è dietro l’angolo anche in Molise, di poche ore fa il blitz che ha sgominato strutture malavitose pronte a conquistare le piazze di spaccio. Di recente è stato chiamato a collaborare come consulente per la Germania a Bruxelles, cosa si rischia in Europa?
Sono decenni che affermo la presenza in Molise delle mafie. C’è la mafia garganica e foggiana che è presente insieme a quella albanese e nigeriana nel traffico di droga e prostituzione. Abbiamo la camorra presente con il nuovo gruppo camorristico napoletano e ancora delle schegge dei clan dei Casalesi come nel caso dell’ultima operazione antimafia. La ndrangheta e Cosa nostra che ormai operano in simbiosi. In linea di massima nel nostro piccolissimo territorio le infiltrazioni mafiose provengono da tutte le tipologie mafiose che oggi conosciamo, nazionali ed internazionali. Per quanto riguarda l’Europa, sono stato chiamato a far parte di un comitato scientifico di studiosi che presenterà a Bruxelles un progetto sulle strategie di lotta che si dovranno adottare nei confronti delle nuove mafie. In Europa, i ventotto Stati membri hanno altrettanti codici penali diversi tra loro e solo quello italiano prevede una normativa antimafia efficace e avanzata anche se da adeguare alle ultime metamorfosi mafiose. La situazione corrente richiede interventi normativi immediati a livello europeo al fine di porre freno alla diffusione delle organizzazioni criminali, combattere i reati più comunemente commessi dalle mafie e impedire le infiltrazioni nell’economia e nel mondo finanziario. Occorrerà lavorare sul requisito del “metodo mafioso” aggiornando la nostra fattispecie del 416-bis riguardo ai tradizionali elementi sociologici e ambientali tipici delle mafie italiane. In questo modo, soprattutto in Europa, sarà più semplice incanalare in questa nuova fattispecie incriminatrice le nuove evoluzioni delle mafie classiche. Dovremo comprendere nel nuovo reato quelle condotte che non includano necessariamente la violenza, ma inglobino ad esempio la corruzione. Sarà un lavoro entusiasmante sul piano scientifico che mi impegnerà notevolmente assieme ad altri compagni di viaggio.
Venti anni di omicidi eccellenti, da Scaglione a Borsellino, passando per Terranova, Costa, Chinnici e Falcone, solo per citare i magistrati più noti ammazzati dalla mafia. Cosa rimane come testimone del loro operato?
Affinché tutte le vittime di mafia, nessuna esclusa, siano degnamente ricordate, nessuno di noi pensi di essere immune dal cancro mafioso, nessuno pensi che l’argomento non lo riguardi, perché la mafia non è solo quella dei grandi capi e dei grandi affari internazionali, la mafia è anche uno “status” mentale e va combattuta e sradicata sin dall’infanzia. E’ un “cancro mentale” che va estirpato senza esitazione. Occorre rigurgitare quel senso di abitudine a tollerarla accettandone passivamente la convivenza. Chiedo a chi leggerà questa nostra intervista di ricordare coloro che la mafia l’hanno combattuta fino in fondo non solo oggi ma in ogni occasione – in famiglia, nelle scuole, nei mass-media – tutti i giorni dell’anno. Abbiamo l’obbligo morale di testimoniare la verità in un clima dove prevalgono sempre più l’indifferenza, il silenzio, la falsità che fanno prosperare e rendere ogni giorno più forte il potere mafioso. Solo in questo modo potremo testimoniare degnamente il loro operato.
La mafia non è più quella di una volta, ha ragione chi lo afferma?
La nuova criminalità organizzata è infiltrata nella pubblica amministrazione e gestisce un’enorme massa di capitali derivanti soprattutto dal traffico di stupefacenti. Amministra denaro e potere ed è, ormai, una realtà economica con un bilancio autonomo e parallelo a quello dello Stato che le consente di operare nell’economia legale senza destare sospetti. Il “denaro sporco” generato dalle mafie incancrenisce l’impresa sana e, dopo averla portata alla morte, ne occupa il posto mentre lo Stato latita. Oggi gli immensi capitali delle mafie, sono parte dei bilanci delle multinazionali e sono investiti nei mercati finanziari a livello mondiale. Da qualche tempo queste organizzazioni criminali sono entrate nel settore della sanità, delle imprese, private e pubbliche, in quello delle privatizzazioni, nel settore bancario e in tanti altri settori economici nazionali e internazionali. Oggi non sparano più, uccidono più di prima ma lo fanno in modo non eclatante.
Ci avviciniamo al cuore dell’intervista: delle stragi del ‘92 è stato detto tutto?
Assolutamente no. Anzi è stato detto pochissimo. Sulla strage di Capaci e su quella di via D’Amelio i fatti noti li conosciamo a memoria. Ora vorremmo sapere i fatti non noti e le mancate verità! Vorremmo sapere, noi cittadini, dei depistaggi, delle mistificazioni, degli occultamenti, delle omissioni e dei silenzi durati fin troppo! Chi informò la mafia della partenza di Falcone da Roma? Che fine ha fatto l’agenda rossa di Borsellino? Questi sono solo alcuni dei veri interrogativi che gridano giustizia ed esigono risposta dopo quasi trent’anni! Se vogliamo rispettare veramente quei morti, rispondiamo a questi semplicissimi interrogativi! Ritengo che in queste stragi, ci siano ancora troppi misteri e troppa oscurità.
La trattativa Stato-Mafia che scenari ha scoperto e quali ancora sono da svelare?Ad essere onesti fino in fondo credo bisogna avere il coraggio di dire che lo Stato si sia piegato alle mafie da molti decenni. Questo accade perché ovunque non vi sia la presenza dello Stato, quello vero, la mafia diventa Stato! Non dimentichiamoci che le mafie fin dal loro apparire hanno sempre svolto la funzione di “cani da guardia” del potere costituito, il loro principale compito era, ed è, di tenere sotto controllo e garantire gli “affari” tra mafie e potere centrale. Dirò di più: quali siano oggi i rapporti tra crimine organizzato e Stato sono noti a tutti gli esseri umani di buon senso, la sentenza di Palermo è solo una ulteriore conferma. E’ un dato di fatto ormai che i rapporti tra i due poteri siano talmente stretti che spesso sia impossibile distinguere l’uno dall’altro. E’ impossibile colpire duramente il crimine organizzato senza danneggiare, in alcuni casi, anche il tessuto istituzionale? Le mafie si sono insinuate ovunque con la collusione e la complicità del potere politico. Anzi non di rado la politica dipende dal potere mafioso: le mafie costruiscono le basi clientelari che poi divengono bacini elettorali per molti politici. La trattativa ha sì salvato la vita a qualcuno (come si afferma da più parti) sacrificando però il suo più strenuo oppositore, un certo Paolo Borsellino! Quindi non ho difficoltà nel paragonare la trattativa ad una delle condotte più spregevoli ed abiette poste in essere da pezzi corrotti dello Stato italiano!
Che lezione ci ha dato Giovanni Falcone?
A me ha insegnato che la lotta a questa nuova mafia non può essere compatibile con la nostra inerzia e con il silenzio. Le nuove mafie temono il libero pensiero e chi lo pratica, perciò non dobbiamo combattere solo la mafia ma anche l’agire mafioso. Falcone mi afferrò per mano e mi spinse verso la legalità rendendomi profondamente responsabile quando nel febbraio del 1992 mi scrisse una frase che resta come monito per tutti i giovani di buona speranza: “Continui a credere nella giustizia, c’è tanto bisogno di giovani con nobili ideali”. Con questa semplicissima frase, allora come oggi, ci dice che tutti possiamo essere dei buoni cittadini facendo soltanto il nostro dovere, confidando nella giustizia e nei valori della nostra Costituzione. La sensazione che provo, sarei vile se non la scrivessi, soprattutto nelle occasioni di commemorazione, è che Falcone sia morto per nulla e che la mafia stia per sconfiggere definitivamente lo Stato poiché quest’ultimo ha perso inesorabilmente la sua credibilità. Tale sensazione si sta trasformando in convinzione e vorrei ricredermi trovandomi domattina dinanzi a uno Stato che cominci a lottare mafie e corruzione con ogni mezzo, utilizzando le migliori menti a disposizione. Oggi purtroppo non è così: più il tempo passa nella totale inerzia dei tanti e più le mafie diventano invincibili!
Di ieri la rivelazione clamorosa, per certi versi, sul presunto tradimento di Bruno Contrada all’origine dell’attentato fallito all’Addaura dell’estate 1989. Che ne pensa?
Conosco sia Saverio Lodato (giornalista antimafia di lungo corso) e conosco Stefano Giordano (difensore di Contrada e figlio di Alfonso Giordano presidente del collegio al maxiprocesso del 1986) e li stimo entrambi, quindi, non entro nel merito delle loro affermazioni. Giovanni Falcone dopo l’attentato all’Addaura, affermò: “Ci troviamo di fronte a menti raffinatissime che tentano di orientare certe azioni della mafia. Esistono forse punti di collegamento tra i vertici di Cosa Nostra e centri occulti di potere che hanno altri interessi. Ho l’impressione che sia questo lo scenario più attendibile se si vogliono capire davvero le ragioni che hanno spinto qualcuno ad assassinarmi.” Bisogna sapere ricostruire il puzzle delle metamorfosi mafiose, pezzo per pezzo, e contestualizzarlo storicamente, politicamente ed economicamente e solo allora ciò che appare lecito diventa illecito e diventa visibile, per chi ne coglie la distinzione perché lo studia con metodo scientifico. Una cosa però oggi possiamo affermarla: all’inizio degli anni novanta c’è stata una trattativa tra mafia e Stato italiano, per raggiungere un accordo sulla fine degli attentati stragisti, in cambio dell’attenuazione delle misure detentive (per ora, lo afferma una sentenza penale della Corte d’Assise di Palermo del 20 aprile 2018).
Emanuele Bracone