Sono trascorsi due anni, (ieri) dalla seconda e più intensa scossa di quello sciame sismico che dopo essersi manifestato il 25 aprile 2018, tra il 14 e il 16 agosto dello stesso anno fece tornare le tendopoli in basso Molise a distanza di 16 anni dal più devastante e luttuosamente tragico sisma di San Giuliano di Puglia. Paesi cerniera da un cratere e l’altro, basti pensare a Larino, con un’area vasta di 21 comuni, tra valli attraversate da Trigno, Biferno e comprensorio frentano coinvolte. Traslocano pure i municipi di Campomarino e Portocannone, per i danni subiti. Oggi, a 730 giorni di distanza, le crepe sono ancora lì: scalfite sui muri ritinteggiati, nella speranza di nascondere la paura, e nei cuori dei molisani che, a due anni dall’evento, attendono fiduciosi la ricostruzione post sisma (lo scorso 17 luglio il Presidente della Regione Donato Toma è stato nominato Commissario ad acta ndr) per cui sono stati stanziati 39 milioni di euro. La ricostruzione pesante è allo stadio iniziale. Si stanno mettendo in sicurezza le struttura a rischio come serbatoi e palazzi, vedi Montecilfone e Guglionesi. Ma ripercorriamo quei momenti drammatici con la testimonianza della collega Valentina Cocco. «16 agosto 2018, 20.19. Un forte boato rompe il silenzio del Basso Molise, sembra un urlo diabolico degno dei migliori film dell’horror. Pochissimi attimi dopo arriva una scossa: forte, fortissima. I muri tremano, le crepe squarciano i soffitti e l’anima, cadono lampadari e piatti, gli orologi si fermano per sempre su quell’ora che segnerà nuovamente i cuori dei molisani, già provati dalla tragedia di San Giuliano di Puglia. I telefoni si bloccano, le linee vanno i tilt, i turisti fanno le valigie e scappano nel cuore della notte, intenzionati a tornare a casa. Tre amici romani, in vacanza a Termoli, confessano: «Tornamo a Roma, veloci ragà, che qua se rischia» mentre salgono frettolosamente sull’auto che li porterà al sicuro, lontano da qui. Si fugge fuori dalle abitazioni, con indosso solo pigiami o abiti leggeri. Le strade si riempiono, si cerca di capire la magnitudo e cosa sia successo, se ci sono morti o feriti. Ci si aiuta: i più forti consolano gli altri, ci si fa forza a vicenda e chi può fornisce supporto e cibo ai concittadini. Le notizie viaggiano veloci e sui siti di ogni regione compaiono le prime informazioni: un terremoto di magnitudo 5.1 (riclassificato così solo in seguito) ha colpito il Molise, con epicentro vicino Montecilfone. Da allora si sono susseguite una serie di scosse che hanno tenuto svegli, per mesi, i cittadini: dopo la prima, registrata il 14 agosto, un crescendo con picchi di dieci repliche in pochi minuti e 110 in totale. Sembrava non finire mai. Si ha paura in Molise, Abruzzo e in Puglia: tutte unite da un unico destino. I soccorsi locali arrivano in immediato, mentre la Protezione Civile Nazionale è impegnata in un’altra tragedia, il crollo del Ponte Morandi a Genova. Per fortuna in Molise non ci sono vittime, almeno non a causa del terremoto (lo diventeranno per colpa della lentezza burocratica legata alla ricostruzione), solo danni a monumenti, edifici pubblici ed abitazioni. A Montecilfone, Acquaviva, Palata, Guglionesi arrivano le prime tv nazionali, intente a riprendere i crolli di soffitti e le crepe nei locali comunali: la terra trema ancora una volta e le videocamere riprendono il momento, mentre i tecnici sono impegnati a scappare fuori da una chiesa divenuta pericolante. Due giorni dopo arrivano le prime tende, dopo notti trascorse nelle auto fuori dalle proprie abitazioni o nei pressi degli stadi comunali messi a disposizione dai sindaci: qualcuno chiede di poter tornare a casa per prendere qualche vestito di ricambio, altri cercano il supporto degli psicologi, riuniti negli epicentri per dare un aiuto concreto a chi è spaventato. Quei grossi tendoni blu e grigi diventeranno il simbolo – e la casa – di 400 sfollati (250 nella sola tendopoli di Guglionesi allestita nello stadio, la più grande). Le ore scorrono lente tra angoscia, risentimento ed incertezze: i più giovani tirano calci ad un pallone, le madri restano vicine ai figli, mentre gli anziani si tengono per mano cercando di infondersi coraggio. Protezione Civile e Misericordia lavorano senza sosta per fornire pasti caldi e si organizzano raccolte di cibo, acqua e denaro per aiutare gli sfollati».

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