Sono trascorsi esattamente due mesi da quel 12 novembre, data che segnò l’elezione della nuova governance del Cosib. Un’assemblea che giudicò irricevibile una diffida formulata dai consiglieri comunali di opposizione di Petacciato, Matteo Fallica (M5S) e Giuliana Ferrara, dopo che una prima convocazione fu rinviata per questioni legate al pagamento delle quote da parte degli enti consorziati. Ebbene, il fuoco covava sotto la cenere, ora sono stati scagliati dardi incandescenti e lapilli sul board di Pantano Basso, presieduto dal sindaco di Petacciato Roberto Di Pardo. Il portavoce pentastellato in Consiglio regionale Valerio Fontana ha depositato un esposto sulla possibile incompatibilità dello stesso presidente e del comitato direttivo sia all’Anac che alle Procura di Larino e Campobasso. «Complice il periodo d’emergenza sanitaria, è passato in sordina il rinnovo del Consiglio d’amministrazione del Consorzio per lo Sviluppo Industriale della Valle del Biferno (Cosib). Rinnovo che, incrociando regolamenti, leggi nazionali e precedenti giudiziari, sembra proprio essere macchiato da profili di inconferibilità delle cariche ed incompatibilità di tutti i suoi membri – spiega Valerio Fontana – per indagare su quanto ho avuto modo di approfondire, ho depositato un esposto all’Autorità Nazionale Anticorruzione (Anac) e alle Procure di Larino e Campobasso. Nell’attesa che le autorità competenti facciano le proprie valutazioni, è mio dovere esporre le motivazioni che mi hanno portato a questa denuncia. Innanzitutto, le cause di inconferibilità delle cariche per i consigli d’amministrazione di enti pubblici sono richiamate nell’articolo 7 del D.lgs 39 del 2013 (cononosciuto come legge Severino), che detta le “di
sposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”. L’articolo 7 della legge Severino riguarda, infatti, l’inconferibilità di incarichi a componenti di un organo politico di livello regionale e locale. Inconferibilità prevista per coloro che “nell’anno precedente siano stati componenti della giunta o del consiglio di una provincia o di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti della medesima regione o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione della medesima regione”. Ebbene, il Cda del Cosib è composto interamente da amministratori locali, in carica tanto al momento della nomina che ora. Ed in particolare: il presidente è anche sindaco di Petacciato; accanto a lui nel Cda siedono i sindaci di Guglionesi, San Giacomo degli Schiavoni e Campomarino, oltre ad un consigliere comunale di Termoli. Tutti i Comuni interessati sono associati nell’Unione dei Comuni del Basso Biferno, la cui popolazione è ben oltre il limite fissato dal decreto del 2013 (la somma delle popolazioni, esclusa quella termolese, è di circa 42 mila abitanti). Un discorso a parte va fatto per il consigliere termolese, che esercita la sua attività in un Comune che, da solo, supera il limite di 15 mila abitanti, avendo una popolazione censita di 33 mila abitanti. Già prima della nomina del Cda Cosib, i consiglieri di minoranza al Comune di Petacciato, Fallica e Ferrara, avevano diffidato i sindaci dei Comuni consorziati affinché non accettassero l’incarico. Ignorando la diffida, hanno invece assunto il nuovo incarico e nominato il presidente. L’incompatibilità del presidente, in particolare, non è una questione di secondo piano: dallo statuto del Cosib, infatti, emerge chiaramente come il presidente abbia compiti di indirizzo e gestione diretta del Consorzio, non un mero incarico di rappresentanza. Considerazione richiamata dalla sentenza del Consiglio di Stato numero 126 del 2018, che si esprimeva su
un caso analogo. Ma lo stesso statuto del Cosib, all’articolo 5.4 prevede casi di esclusione obbligatoria “qualora il consorziato promuova un contenzioso contro il Consorzio su questioni di natura istituzionale”. È questo il caso del Comune di Termoli, che a maggio 2020 ha autorizzato il ricorso contro il Cosib presso il Tribunale di Larino, per un presunto debito nei confronti del Consorzio di circa 2 milioni di euro, più spese, iva e interessi. Il giudizio è tuttora pendente e basterebbe per l’esclusione “obbligatoria” dal Cda del consigliere rivierasco. A conferma dei dubbi che ho evidenziato nell’esposto, c’è un altro precedente: anche il Tar del Lazio è intervenuto su un caso analogo, pronunciandosi sulla inconferibilità degli incarichi per i pubblici amministratori coinvolti, con la sentenza numero 453 del 9 maggio 2018. Alla luce di tutte queste considerazioni, e allegando i precedenti giuridici citati, ho chiesto la verifica della conferibilità degli incarichi per tutti gli amministratori nominati nel Cda del Cosib, dell’esistenza delle autodichiarazioni e delle eventuali responsabilità personali dei sindaci consorziati. Ci tengo a precisare che non si tratta di un’azione contro degli “avversari” politici. La mia preoccupazione è che i rappresentanti del Consorzio siano nelle migliori condizioni per tutelare gli interessi dei cittadini rappresentati. È questo lo spirito che sottende alla buona amministrazione: le leggi e i regolamenti richiamati non pongono limiti arbitrari alle nomine, ma il principio delle mani libere nell’interesse collettivo. Principio che, se non è stato fatto proprio dai protagonisti di questa vicenda, dev’essere a mio avviso garantito dall’autorità giudiziaria. Credo che i rappresentanti delle istituzioni debbano essere i primi a rispettare le leggi in maniera scrupolosa. Specie se queste ultime servono a garantire la migliore amministrazione possibile di un consorzio da cui dipende lo sviluppo industriale di un’area così importante per la nostra regione».