«Niente è sicuro in questo fetido letamaio di mondo, tranne l’amore di una madre» scriveva James Joyce. E nel giorno della festa della mamma non c’è storia che possa racchiudere meglio questo significato così profondo di quella di «Sasà, storia di un giovane parà». È questo il titolo di un breve opuscolo, un libricino, un diario che mamma Maria Teresa Riso ha deciso di dare alle stampe provando a condensare nelle parole tutto l’amore per suo figlio Salvatore Forte, caporal maggiore capo scelto presso il 185° reggimento paracadutisti Rao Folgore. A spingere mamma Teresa a buttare giù quel fiume di parole agitate su una comunissima agendina, poi diventata un diario stampato e ispirato dall’amore e dall’immane dolore, il terribile incidente che il 4 ottobre di sei anni fa per poco non fece perdere la vita a Salvatore, allora 38enne, presso la caserma in cui lavorava a Livorno. Per lei, per Sasà e per tutta la famiglia Forte, da quel giorno però la vita è radicalmente stravolta. Il ricovero in Neurochirurgia, il delicato intervento alla testa, il coma, poi il drammatico risveglio: Sasà, di punto in bianco, da giovane talentuoso e forte caporal maggiore della Folgore, era come un vegetale. Da lì il calvario, la tracheo, la peg, e mamma Teresa sempre presente nella vita di Sasà, letteralmente ogni attimo. La sua vita completamente annullata, sospesa tra le mura di quella casa in località Pitti, a Bojano, da cui non esce da sei lunghi anni, così come Sasà, per assistere giorno e notte l’amato figlio con un solo ed unico desiderio mai sopito nel cuore e negli occhi: rivederlo tornare a muovere passi sulle proprie gambe, in forze come un tempo, e soprattutto a sentire la sua voce. Maria Teresa non si abbatte, è convinta che un giorno accadrà, che Sasà con la sua voce potrà raccontare cosa è accaduto davvero quel 4 ottobre, sciogliendo ogni dubbio della famiglia sull’incidente. Solo lui sa, malgrado una versione ufficiale ci sia: un banalissimo incidente in scooter.
Sasà da allora però non parla più, non cammina ma è perfettamente cosciente e grazie alla caparbietà, alla tenacia dei veri eroi e all’incessante amore e dedizione di mamma Teresa, da quel 4 ottobre del 2016 ha compiuto man mano straordinari progressi. Ora con le dita riesce a comunicare a gesti, le intreccia in un gesto che racchiude il rapporto simbiotico che vive con la mamma. Un gesto per raccontare, senza le parole, che sono uniti come le maglie di una catena, per sempre. Con le dita riesce a dire quand’è il giorno del suo compleanno – il 28 maggio -, e a fare il segno ‘sì’ quando gli si chiede se ricorda l’incidente. Custoditi nella memoria, forse, i particolari. Poi strapazza con le mani un topolino giocattolo quasi a comunicare una risata alla domanda «Ma chi aveva più fidanzate: tu, o tuo fratello Patrizio?». Sasà è in quegli occhi, è in quell’anima perfettamente intatta seppur spezzata dal dolore, nella gabbia di un corpo che non gli consente più di sentirsi libero come una volta, libero di provare il brivido delle centinaia di lanci in paracadute che ha fatto dall’inizio della sua carriera militare, a soli 18 anni. Libero di viaggiare in moto, come amava fare, libero di dire a parole semplicemente ‘Grazie’ a quella mamma straordinaria che per lui ogni giorno compie un vero e proprio rituale d’amore, accudendolo in ogni istante della vita. Lo lava, lo imbocca, lo aiuta a fare qualche esercizio con le braccia, guarda insieme a lui i video della Riserva Moac e di Adriano Celentano – il cantante preferito di Sasà -, gli offre continuamente stimoli per tenere la mente sempre attiva e aggiornata sull’attualità. Nel frattempo piange, non se ne vergogna, perché in quelle lacrime c’è tanta forza, tanto coraggio e soprattutto tanto amore. E Sasà, infatti, ‘Grazie’ glielo dice con lo sguardo, con le mani, l’amore per mamma Teresa lo dimostra con le vibrazioni di un’anima che non vede l’ora di tornare a vivere il mondo. Ed è proprio con quest’auspicio che decine di persone, in questi giorni, stanno acquistando il diario di mamma Teresa, dato alle stampe pochi mesi fa nel tentativo raccogliere dei fondi per comprare una macchina che possa permettere a Sasà di tornare ad uscire di casa, in piazza, tra la gente e i suoi tanti amici, come piace a lui che è amato e benvoluto da tutti. «Nonostante tutto io mi sento fortunata – dice mamma Teresa -. Penso infatti a chi un figlio purtroppo non ce l’ha più, o a chi vive in condizioni peggiori delle nostre. Bisogna farsi forza. Ci vuole coraggio. Perché col coraggio si supera ogni cosa». Parafrasando Papa Francesco, dopotutto è questo che fanno le madri. «Sanno superare ostacoli e conflitti, sanno infondere pace». E come scrive proprio mamma Teresa alla fine del suo diario, «l’abbraccio di un figlio ti fa sentire dentro la pace, il conforto dell’anima e ti allevia ogni dolore. Ti fa dimenticare tutte le cose peggiori e ti ricorda quanto bella e preziosa sa essere la vita».
giorgio rico

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