Prima la sospensione della licenza per una settimana – scaduta proprio oggi -, ora il terrore che quella licenza possa persino essere revocata, con un’intera famiglia che rischia seriamente di ritrovarsi sul lastrico proprio nel momento più buio, dopo oltre due anni di pandemia e con una ripresa che stenta ad arrivare: parla il titolare del locale di Bojano chiuso per un provvedimento di 7 giorni di applicazione dell’ex articolo 100 del Testo unico leggi di pubblica sicurezza.
«Non auguro a nessuno quello che mi sta accadendo – afferma –. Ormai è diventato difficile persino dormire la notte, e non perché qualche incivile fa chiasso in orari poco consoni, ma perché ho l’impressione che i pianeti si siano allineati contro di me, che quella che sto attraversando con la mia famiglia sia una vera e propria tempesta perfetta: due mutui da pagare e solo tanta incertezza. Non è bastata infatti la chiusura di una settimana. Ora devo convivere col terrore che l’accanimento nei miei confronti possa tradursi persino in una eventuale revoca della licenza. Sarebbe un’ingiustizia inaccettabile, un danno incalcolabile nei confronti di un piccolo imprenditore che vive e lavora onestamente di questo da 18 anni, non da pochi mesi, e che ahimé non risolverebbe affatto il problema del disagio sociale bojanese dilagante che pare venga imputato tutto al mio locale. La verità è che la mia più grande sfortuna è quella di essermi creato negli anni un’attività che fino all’arrivo del Covid funzionava, che attirava tanti giovani, tanti ragazzi per bene che venivano da me per stare in compagnia, non un ritrovo tra “pregiudicati”. Insomma la mia sfortuna è che lavoravo. Ma in questo paese evidentemente non va bene che si lavori – prosegue -. Ora sono sul punto di mollare, non lo nego. Sono sull’orlo della resa: sto cercando di vendere il locale per recuperare quello che ho perso, ma se troverò un acquirente mollerò – svela -. Il problema del baccano lo comprendo, ma a dirla tutta lo comprendevo di più qualche anno fa, quando si lavorava tanto, quando al parco Collodi si tenevano anche eventi poi stroncati per lo stesso motivo. Ma ormai dall’inizio della pandemia si guadagna qualcosa solo il sabato e solo nel periodo estivo fino all’1, le 2 al massimo, ma nel resto della settimana se lavoriamo fino alle 23 è tutto il mondo, quando molto spesso il locale è già vuoto e iniziamo le pulizie interne ed esterne. Ce l’ho messa tutta per evitare disagi: alle 22 al massimo stoppiamo la musica, che mettiamo comunque sempre e solo all’interno del locale, mai all’esterno. Intorno a quell’ora faccio bloccare anche il biliardino, perché sono a conoscenza del fatto che dia fastidio e non voglio creare problemi – spiega -. Ma se non mi è concesso lavorare neanche di sabato in quei 15-20 giorni d’estate, e nella settimana tra vigilia, Natale e Capodanno, non mi resta davvero che abbassare la serranda. Anche perché nei limiti del possibile ho fatto di tutto per evitare problemi, mi sono organizzato per ripulire l’area pubblica nelle vicinanze del locale tutti i giorni, tutte le sere, spesso raccogliendo anche rifiuti che non erano stati lasciati lì dai miei clienti, ma da persone che acquistavano lattine di birra o superalcolici da commercianti nelle vicinanze per consumarli nel parco. E non ho mai organizzato neanche una serata, neanche una, rimettendoci soldi e clienti: a quanto pare però più ci si comporta bene, peggio è. Come oltretutto di clienti ne ho persi a costo di chiudere prima dell’orario. È capitato anche che al verificarsi di qualche parapiglia ho preferito chiudere, per evitare che alcune situazioni potessero degenerare. Più di così non so davvero cosa fare – dice affranto -. Controllare quello che accade all’esterno dal locale dopo l’orario di chiusura è pressoché impossibile. A volte ci ho provato, l’ho detto anche all’ispettore, ma se la gente sosta nelle vicinanze del locale, dove c’è un’area pubblica, un parco, fino alle 3 del mattino a far chiasso io non posso farci molto, come non posso farci molto se fuori dalla mia attività sostano persone con precedenti penali. Faccio il barista, non il carabiniere. Ci vorrebbe forse una figura che si occupi esclusivamente di quello, ma ormai si lavora col contagocce, è durissima, si campa davvero alla giornata, anzi se non fosse per ciò che riusciamo a fare la mattina con le colazioni ormai non ci resterebbe che abbassare la serranda perché è diventato complicato persino coprire i debiti. Non a caso non ho potuto neanche fare ricorso al recente provvedimento: a parte per le tempistiche, che non mi avrebbero di certo consentito di riaprire, si tratta soprattutto di una questione di costi. Perché se dovessi avanzare un ricorso e perderlo, al danno si aggiungerebbe la beffa, con migliaia di euro da pagare per spese legali. Sono solo un piccolo commerciante che lavora onestamente e che come tutti sta lottando a mani nude con gli effetti drammatici della pandemia – conclude il titolare del bar -. Ma ormai ho l’impressione che si stia facendo di tutto per farmi chiudere, per gettare davvero sul lastrico una famiglia onesta e perbene che lavora duramente da anni solo per guadagnarsi da vivere, nulla più».