Dove la tradizione incontra il professionismo moderno: nella zampogna del giovanissimo e talentuoso Daniele Romano, tra i più precoci cultori e custodi di quest’antico strumento, alberga il senso più profondo di una storia millenaria che si intreccia con l’identità del Matese, ma che ora si apre a nuovi e sconfinati orizzonti. Si conclude oggi, con un’intervista al 19enne musicista bojanese già protagonista di palcoscenici importanti, il percorso di approfondimento che su queste pagine ha rappresentato un appuntamento fisso nel weekend, in attesa del Natale, e in cui si è parlato ampiamente proprio di tradizioni da custodire: dall’impegno di Angelo Di Petta e degli Zampognari del Matese fin dentro la bottega di Franco Sacco, un viaggio attraverso la storia e la leggenda dello strumento con Antonio Romano, passando per i racconti di strada da Scampia e Bitonto di Teodoro Concordia e Enzo Gargaro. Con Daniele – il più giovane allievo di zampogna presso il Conservatorio Perosi di Campobasso e simbolo delle nuove generazioni che si appassionano allo strumento per tutelarne l’inestimabile valore – annunciamo quindi l’imminente arrivo del Natale, sperando di lanciare ai più giovani e a tutti un messaggio di speranza e di gioia.
Daniele, hai appena 19 anni eppure suoni la zampogna come un veterano. Ci puoi raccontare come nasce questa passione?
«Quella per la zampogna è una passione che nasce in famiglia, quando ero solo un bambino. Può sembrare strano ma è iniziato tutto da una paura: quando sentivo papà e zio suonare, piangevo spaventato dal potente suono di questo bellissimo strumento. Ironia della sorte, da quella paura è nata una grande passione che porto dentro di me da sempre e che mi ha portato a suonare anche davanti al Papa, per la prima volta nel 2008, con una piccola ciaramella».
Ma perché proprio la zampogna e non un altro strumento?
«Ho studiato e continuo a studiare anche altri strumenti come il sassofono, il pianoforte e non solo, ma la zampogna è stato il mio primo strumento musicale. Ho iniziato a seguire la scuola a San Polo col maestro Piero Ricci che mi ha dato tutte le basi teoriche per la lettura del pentagramma, il solfeggio e in generale tutto ciò che serviva per un efficace studio musicale dello strumento. E da lì si è aperto un mondo: alle scuole medie ad esempio mi è capitato di suonare numerose volte la zampogna anche in occasione di saggi e concerti, con l’orchestra scolastica».
E dopo quest’esperienza scolastica?
«Ho continuato, da autodidatta, ma ho continuato anche seguendo nuove lezioni all’accademia musicale del Pentagramma, col maestro Antonio Scioli».
Poi il Conservatorio, giusto?
«Sì, negli ultimi mesi ho iniziato un percorso di studi accademici al Conservatorio Perosi di Campobasso. Un’opportunità nuovissima che si è aperta quest’anno per la prima volta grazie al Corso delle Musiche Tradizionali che mira a valorizzare tutti gli strumenti della tradizione. Tra questi anche la zampogna».
C’è qualche allievo di zampogna più giovane di te?
«Al momento no, sono il più giovane di quattro zampognari. È emblematico che nella regione dove è molto diffusa la tradizione della zampogna il numero di allievi sia così ristretto. Ma è pur vero che questo corso è partito solo pochi mesi fa. Quindi sono convinto che tanti ragazzi come me potrebbero avvicinarsi allo strumento e iscriversi. Bisogna incentivare i giovani a riprendere lo studio di questi strumenti, altrimenti si rischia di perdere un patrimonio che ci fa riconoscere in Italia e nel mondo».
Si può dire, da questo punto di vista, che tu sia un Custode della Tradizione, tra i più giovani e in gamba del Molise?
«Spero di non essere l’unico. È importante che le nuove generazioni capiscano che il destino di queste tradizioni, quindi della nostra identità, è anche nelle loro mani».
Per quale motivo, secondo te, la zampogna può essere molto più attrattiva di quanto un giovane possa immaginare?
«Innanzitutto bisogna premettere che zampogna non vuol dire soltanto Natale. Perché la zampogna ha subìto una forte innovazione tecnica negli ultimi 20 anni, anche grazie all’aiuto di Piero Ricci e Franco Sacco che ne hanno realizzato un modello professionale, capace di suonare di tutto. Si è aperta così anche ad altri repertori, si è arrivati addirittura a suonare jazz e classico. Cosa che anni fa non era neanche immaginabile. Insomma, la zampogna ha ricevuto un potenziamento enorme che le ha consentito di contestualizzarsi in più ambiti. Non solo quello natalizio».
Si può dire che la zampogna ormai non sia solo Natale, ma anche Natale, fede cristiana. Senti questo forte legame intrinseco dello strumento con la fede?
«Il legame tra la zampogna e la fede affonda le radici nella storia. Basta pensare alla figura dello zampognaro, che nel presepe è presente nella Capanna dove è nato Cristo. Lo zampognaro rappresenta da questo punto di vista l’annunciatore della speranza, della rinascita. È ciò che vuol dire fondamentalmente il Natale. Mi emozionano, da questo punto di vista, le storie di grandi zampognari matesini che ogni anno sotto il freddo di dicembre portano la novena nelle case e ai cuori delle famiglie. Ma con grande commozione ricordo anche un’immagine indelebile: un anno, dopo aver suonato in udienza dal Papa, ci fermammo all’ospedale “Bambin Gesù” di Roma e mentre eravamo nell’atrio si aprirono le porte della terapia intensiva. Tante mamme uscirono con in braccio i loro figli, piangendo e accogliendoci con emozione, perché attratte da quello che da allora definisco il “Suono della speranza”».
E tra tutti gli eventi a cui hai partecipato, qual è quello che vorresti riviere e che più ti ha emozionato?
«Sicuramente l’udienza con il Santo Padre. Ogni anno mi affascina come se fosse la prima volta. Perché non tutti gli zampognari hanno la possibilità di suonare davanti ad una grande figura come il Papa. È un’esperienza che mi lascia ogni volta a bocca aperta».
Tu sei un po’ l’emblema, tra le altre cose, delle grandi soddisfazioni e delle opportunità che questo strumento può offrire.
«La più importante di tutte è la possibilità di sperimentare: sono il primo infatti che sperimenta e gioca ogni giorno con la zampogna per suonare cose che non sono mai state suonate con questo strumento. Insomma, per un giovane può essere molto stimolante, perché la zampogna consente davvero di creare cose mai fatte prima».
E secondo te fino a dove ci si può spingere con una zampogna in spalla?
«Non c’è un limite. La zampogna ha ricevuto una grande spinta che le ha permesso di allargarsi su tutti i fronti musicali. Ognuno può liberamente decidere di arrivare dove vuole, di sognare in grande. Perché si possono suonare tutti i repertori: è questa la potenza della zampogna moderna. È uno strumento musicale come gli altri, a tutti gli effetti. E basta guardare a ciò che hanno fatto Piero Ricci, Giuseppe Spedino Moffa, Aldo Iezza, che hanno aperto da questo punto di vista ad interessanti orizzonti. Nel tempo sono state sfondate tante barriere, e ciò ha allargato di molto le potenzialità sonore, armoniche e musicali della zampogna».
In definitiva, se dovessi dare un consiglio ad un ragazzo come te, o più giovane, cosa gli diresti? Perché appassionarsi alla scoperta di questo strumento?
«La zampogna può dare tanto. Il messaggio che posso dare alle nuove generazioni è di prendere in mano queste tradizioni che ci appartengono e che vengono tramandate da tempi antichissimi, per conservarle. Perché fanno parte della nostra cultura. Del nostro territorio. Perché rappresentano per il Molise e il Matese un elemento di unicità».
Il Natale è ormai alle porte. Che ne dici di rivolgere un augurio speciale a tutti?
«Con quest’intervento colgo l’occasione per augurare a tutti voi che state leggendo quest’articolo un santo Natale, un anno di felicità e di gioia per tutti, ma anche di pace, soprattutto per i tempi difficili che stiamo vivendo».
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