La piattaforma in calcestruzzo su cui è stato realizzato il gazebo del Bar dei Pentri in piazza Roma, di proprietà dell’ex assessore comunale Angelo Bernardo dovrà essere rimossa. Lo ha stabilito una sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Molise, Sezione Prima, pubblicata ieri.
Una vicenda che ha innescato non poche polemiche in città, finita non soltanto all’attenzione del Tar Molise, ma anche sotto la lente di ingrandimento della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Campobasso.
Bernardo aveva chiesto ed ottenuto, durante il periodo in cui era assessore, l’autorizzazione (provvedimento numero 9 del 5 maggio 2016) per realizzare un gazebo in legno davanti al suo esercizio commerciale. L’esecuzione del manufatto, però, è risultata difforme alle autorizzazioni rilasciate dal Comune in quanto la pedana di raccordo con il marciapiede, realizzata su strada precedentemente adibita a parcheggio, e sulla quale poggia il gazebo, anziché essere realizzata in legno veniva realizzata in calcestruzzo. Difformità che veniva rilevata durante un sopralluogo (23 giugno 2016) degli agenti di Polizia municipale, cui faceva seguito l’ordinanza di sospensione dei lavori per installazione del gazebo da parte del responsabile del Terzo settore – Urbanistica ed ambiente del Comune di Bojano, nonché di demolizione e rimessa in pristino di opere difformi antistanti il Bar dei Pentri.
La pedana in calcestruzzo in pratica contrasta con il Regolamento comunale adottato con delibera consiliare numero 32/2015, nella parte in cui prevede che il gazebo debba appoggiare su una pedana in legno, senza considerare la necessità di ancorare il tutto a strutture più stabili e sismo-resistenti in aperta violazione della normativa regionale e nazionale.
A questo punto Bernardo, tramite gli avvocati Vincenzo Colalillo e Massimo Di Nezza, ha presentato al Tar Molise ricorso di opposizione ai provvedimenti emessi dal Comune, chiedendone l’annullamento. Palazzo San Francesco a sua volta si è costituito con l’avvocato Anton Giulio Giallonardi. Con ordinanza numero 166 del 7 dicembre 2016 il Tar ha accolto la domanda cautelare di sospensione dell’ordinanza, per cui Bernardo ha potuto completare il gazebo sulla pedana in calcestruzzo. Il 5 luglio scorso si è poi tenuta l’udienza pubblica. I legali del Bernardo, hanno ribadito in sostanza, quanto contenuto nel ricorso, evidenziando il comportamento di eccesso di potere del Comune che avrebbe ingiunto la demolizione delle opere senza esaminare preventivamente la variante strutturale in corso d’opera presentata dall’ex assessore, successivamente alla contestazione dell’abuso, per la costruzione della fondazione in cemento armato. Per Bernardo la pedana in calcestruzzo che stava realizzando davanti al bar era conforme agli elaborati progettuali regolarmente depositati. Il Tribunale amministrativo, invece, ha stabilito che il ricorso di quest’ultimo è infondato, in quanto l’articolo 7 della delibera di Consiglio comunale numero 32 del 28 agosto 2015 recante il Regolamento “per il rilascio di autorizzazioni al posizionamento di gazebo, pedane, tavoli e sedie su area pubblica antistante di esercizi commerciali” prescrive espressamente, con riferimento ai gazebo, che «l’attacco a terra, di carattere precario, deve essere costituito da una pedana in legno, aderente al suolo, che nasconda l’ancoraggio terra e raccordi la differenza di quota tra il piano della strada e quello del marciapiede. Tale struttura, interamente e facilmente amovibile, è composta da un telaio in legno o ferro».
Il Tar ha evidenziato in sentenza che «conformemente a tale previsione regolamentare, il ricorrente presentava, dapprima, una Scia in data 16 ottobre 2015 e successivamente, in data 16 novembre 2015 una richiesta di permesso di costruire per la realizzazione di un gazebo su suolo pubblico dinanzi alla propria attività commerciale. In entrambe le istanze precisava che non sarebbe stata realizzata alcuna opera in cemento armato. È dunque evidente che la realizzazione di una piattaforma di forma rettangolare in calcestruzzo sulla sede stradale antistante l’attività commerciale dell’esponente costituisce una evidente difformità dell’intervento rispetto a quanto autorizzato dal Comune con provvedimento numero 9 del 2016 che, nel rispetto del regolamento comunale, autorizzava la realizzazione sul suolo pubblico di pedane in legno sulle quali posizionare il gazebo, assicurando in tal modo il raccordo tra la quota del piano stradale ed il marciapiede. Del resto solo una struttura in legno poteva assicurare che si trattasse di struttura precaria e facilmente rimovibile, come tale compatibile con la destinazione dell’area pubblica oggetto di occupazione che, nel caso del ricorrente, è quella a parcheggio pubblico».
In altre parole, il deposito dei calcoli di cemento armato non integra i presupposti della variante architettonica o della richiesta di sanatoria sicché nessun obbligo di riesame preventivo poteva ritenersi sussistente in capo al Comune prima dell’adozione dell’ordine di demolizione. Tra l’altro la stessa Regione Molise nell’accertare la conformità della variante strutturale alla normativa tecnica sismica, precisava che l’esito positivo della verifica non poteva intendersi come sostitutivo della valutazione urbanistica di competenza comunale.
«In conclusione – si legge nella sentenza del Tar -, non solo la variante strutturale è stata espressamente esaminata dal Comune nel corso dell’istruttoria prodromica all’adozione dell’ordine di demolizione, ma deve convenirsi con quanto rilevato sia dal Comune sia dalla Regione circa l’irrilevanza di tale atto a sanare l’assenza di idoneo titolo edilizio in quanto atto rilevante ai soli fini del deposito sismico e comunque in contrasto con il regolamento comunale, con conseguente abusività della piattaforma in calcestruzzo poiché realizzata in violazione di quanto previsto dall’articolo 7 comma 2 del regolamento approvato con delibera di Consiglio comunale numero 32 del 2015 e della stessa autorizzazione numero 9/2016».
Per queste motivazioni il Tar ha respinto il ricorso di Bernardo condannandolo, altresì, alle spese di giudizio e a quelle sostenute dal Comune (1500,00 oltre Iva e Cap), compensandole, invece, nei rapporti tra il ricorrente e la Regione Molise.
E.C.