Di bojanesi sparsi nel mondo per questioni di lavoro ce ne sono diverse migliaia. Se da un lato l’emigrazione ha spopolato le campagne venendo meno la forza lavoro, dall’altro è stata anche una valida risorsa per l’economia locale grazie alle rimesse di denaro di quei lavoratori a beneficio dei loro familiari residenti nel paese di origine. Tanti bojanesi hanno fatto fortuna all’estero, altri, invece, sono riusciti a sopravvivere decorosamente facendo umili lavori, altri ancora sono stati sfortunati: chi è morto in miseria e chi è scomparso facendo perdere le proprie tracce. Ci sono stati anche bojanesi che, purtroppo, sono deceduti sul luogo del lavoro senza alcuna tutela assicurativa o in ambienti non a norma, sprovvisti anche delle più elementari garanzie di sicurezza. Emigrati morti e subito dimenticati, che in vita con il loro modesto ma prezioso contributo hanno comunque concorso a far crescere e sviluppare nel tempo la città. Vite spezzate che non hanno mai avuto il giusto riconoscimento che meritavano. Ci sembra doveroso ricordare in queste colonne uno dei tanti lavoratosi bojanesi che perse la vita oltre un secolo fa in un cantiere di Scranton, una città degli Stati Uniti d’America, capoluogo della contea di Lackawanna dello Stato della Pennsylvania. Una storia anonima, come tante altre, che potrebbe essere presa a simbolo per istituire in loco una giornata nella quale commemorare il sacrificio dell’emigrazione bojanese. Nell’archivio storico comunale, tra le tantissime corrispondenze tra i vari uffici consolari italiani all’estero e Palazzo San Francesco, abbiamo rinvenuto una lettera a firma del regio agente consolare d’Italia a Scranton, indirizzata al sindaco di Bojano Francesco Tommasi. La missiva porta la data del 15 febbraio 1902, e dà comunicazione al primo cittadino di una disgrazia accaduta il 29 gennaio ad un operaio bojanese, Emilio Colacci fu Giuseppe. La lettera, insieme al pacco dei pochi averi che l’operaio possedeva, era indirizzata all’anziana madre di costui rimasta in paese. «Adempio al doloroso incarico di partecipare alla S.V. che certo Colacci Emilio fu Giuseppe, di codesto Comune, mentre era intento ad alcuni lavori di escavazione in questa città, il giorno 29 dello scorso mese di gennaio, travolto sotto le rovine della volta soprastante, che improvvisamente crollava, rimaneva miseramente cadavere – si legge nella lettera -. Informato del luttuoso avvenimento, mi recai dapprima sul luogo della catastrofe e poi nella casa dove il Colacci abitava per vedere se egli avesse lasciato qualche cosa ed anche per informarmi dei nomi degli operai che con lui lavoravano, allo scopo di interrogarli per stabilire se spettava al contrattore dei lavori la responsabilità del caso miserando, di cui il Colacci fu vittima. Nella camera abitata dal defunto trovai un piccolo baule che il padrone della casa mi disse appartenere al Colacci stesso. Tale baule conteneva pochi oggetti di biancheria, un revolver vecchio ed altri oggetti personali di nessun valore; l’orologio con catena e ciondolo del Colacci ed un anello. Questi ultimi oggetti furono da me presi e spediti alla S.V. in pacchetto registrato, mentre disposi che il baule fosse affidato al primo compaesano del defunto che rimpatrierà, perché lo consegni alla madre di lui, Filomena Sisto, costì residente. Seppi pure che il defunto aveva un credito di dollari 30 verso il genero del padrone della casa, mentre lasciava verso quest’ultimo e di un’altra persona un debito ammontante complessivamente a dollari 10,50, ed assodato il fatto, disposi che appena il debitore restituirà i dollari 30, sarà pagato il debito di dollari 10,50. Il rimanente sarà spedito alla madre stessa». Il regio agente consolare informava che stava chiedendo altre informazioni per conoscere se il defunto avesse altri crediti da riscuotere per inviare poi le somme a sua madre. La lettera così proseguiva: «Intanto, nel pregare la prefata S.V. di dare il triste annunzio alla madre del Colacci, voglia consegnarle il pacchetto suddetto ed assicurarla che nulla fu risparmiato da questo Ufficio nella inchiesta che già ebbe luogo ed a cui io assistetti personalmente per rappresentare e tutelare gli interessi di lei (madre), ma che da tale inchiesta rimase completamente esclusa qualunque responsabilità da parte del contrattore dei lavori. Ciò nonostante, ho tentato e sto tentando tutti i mezzi per ottenere almeno un sussidio a favore di lei (madre), sebbene parmi sia purtroppo difficile, per verdetto di irresponsabilità da parte del contrattore, pronunziato dai giurati che furono chiamati dall’Autorità giudiziaria a stabilire le cause che determinarono la morte del Colacci». Il sindaco Tommasi consegnò poi il contenuto del pacchetto, l’orologio con catena, il ciondolo e un anello, alla madre del povero Emilio, il 7 marzo successivo alla presenza di due testimoni, Vincenzo Massimo e Florestano Gentile. Una triste storia di uno dei tanti emigrati dimenticati e morti sul luogo di lavoro senza alcuna tutela e norma di sicurezza.

E.C.

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