Oggi, 10 settembre, ricorre il 77° anniversario del primo bombardamento aereo cui fu sottoposta la città di Bojano da parte dell’aviazione anglo-americana nel 1943. Fu l’inizio di una serie di patimenti, privazioni, sofferenze, orrori, lutti e distruzioni che la popolazione bojanese fu costretta a subire per la prima volta nella sua storia moderna. Furono eventi dolorosi frutto della sciagurata decisione del regime fascista di entrare in guerra accanto agli alleati tedeschi. In quel triste autunno le vittime civili causate dai massicci bombardamenti e dai cannoneggiamenti che per circa due mesi, dal settembre al novembre 1943, si susseguirono quasi giornalmente, furono ben 42. Il più piccolo Ciro Perna, figlio di una famiglia partenopea che, ironia della sorte, era appena giunta a Bojano per sfuggire ai bombardamenti che da mesi stavano interessando la città di Napoli, aveva appena 2 anni e fu uno dei primi a morire sotto le bombe in quella tragica mattina del 10 settembre 1943. La persona più anziana nell’elenco delle vittime fu, invece, Vittoria Prioriello, che aveva 78 anni. Quei bombardamenti causarono anche alcuni decessi per il forte dispiacere, tra questi il parroco dell’antica cattedrale, don Angelo Colacci che, nonostante avesse una robusta costituzione, non resistette all’immenso dolore di vedere la propria chiesa, l’antica cattedrale, per la quale aveva lavorato tanto per renderla più bella, ridotta in un mucchio di macerie sotto il peso delle bombe dell’aviazione alleata. Nella cattedrale, tra l’altro, erano stati da poco ultimati gli stupendi affreschi del pittore Musa. A quel triste elenco di morti vanno aggiunti altre sei ragazzi, rimasti vittime dello scoppio di ordigni. Una testimonianza importante e dettagliata di quei tragici avvenimenti bellici che i bojanesi si trovarono, loro malgrado, a vivere nell’autunno 1943 ci venne raccontata, tramite un diario, da suor Angelica della Congregazione delle Discepole di Gesù Eucaristico, ordine religioso presente all’epoca presso l’Istituto Amatuzio. La religiosa, infatti, annotava giorno per giorno tutto quello che succedeva intorno a sé nel periodo della guerra. «L’8 settembre 1943 giunge inaspettata la notizia dell’armistizio – raccontava la religiosa -. Alle prime comunicazioni della radio essa si diffonde, si ripete di bocca in bocca con una specie di incredulità, di ansia, di muta domanda; Che significa per noi l’armistizio? È il preludio della pace? Sarà apportatore di giorni sereni? Dal cuore si leva spontaneo un inno di ringraziamento alla Vergine Santa che ha voluto darci tale dono nel giorno della Natività, ma la voce assennata di persone prudenti ci avverte: non abbandonatevi alla gioia, l’ora è gravissima… non sappiamo che cosa ci porterà il domani. E la radio conferma tali dolorose previsioni. L’Italia ha chiesto l’armistizio in un momento assai difficile». L’armistizio in realtà era stato siglato segretamente a Cassibile (borgo di Siracusa) cinque giorni prima, il 3 settembre 1943, con questo accordo il Regno d’Italia aveva cessato le ostilità verso gli anglo-americani, che da nemici diventarono alleati, da quel momento ebbe inizio di fatto la resistenza italiana contro il nazifascismo. Di comune accordo fu stabilito che la sua entrata in vigore doveva avvenire l’8 settembre, dal momento del suo annuncio pubblico, che fu dato alle 18.30 italiane, prima da Radio Algeri da parte del generale Dwight Eisenhower e, un’ora più tardi, alle 19.45 confermato dal maresciallo Pietro Badoglio dai microfoni dell’Eiar (Ente italiano per le audizioni radiofoniche). La notizia dell’armistizio determinò una grande euforia su tutto il territorio italiano, con esplosioni di gioia collettiva, in quanto c’era la convinzione che la guerra fosse finalmente finita. Quel giorno nella borgata di Civita Superiore si festeggiava la ricorrenza della Madonna delle Grazie, quando sul tardo pomeriggio si sparse la notizia dell’armistizio, i fedeli che in mattinata avevano partecipato alla processione, in segno di ringraziamento alla Vergine Maria, decisero di ripetere il corteo processionale il giorno successivo. In tutti c’era la convinzione che la guerra fosse ormai finita e che ben presto i congiunti in guerra sarebbero tornati dal fronte sani e salvi. Purtroppo fu una illusione collettiva, perché da quel momento la guerra arrivò nelle loro case. Trascorsero, infatti, appena due giorni, era il 10 settembre, quando i bojanesi cominciarono a conoscere da vicino gli orrori della guerra. «La vita si svolge in modo normale nella nostra quieta cittadina che non ha sentito finora il fragore della guerra – proseguiva suor Angelica. – I bimbi della scuola materna giocano sereni nel giardino e nelle classi si svolgono le lezioni del corso estivo di preparazione agli esami. Alle ore 10.00 un enorme areoplano ricognitore passa fragorosamente sul nostro Istituto e sembra sfiorarlo, pochi minuti dopo, proveniente dal Sud, si avvicina una formazione aerea. Guardiamo meravigliati, i bimbi gridano: areoplani! Ma ad un tratto ci colpisce un sordo fragore, ci sentiamo scossi come da terremoto e avvolti da un denso fumo… le bombe! Le alunne fuggono dalle classi, le convittrici si rifugiano spaventate presso la Superiora e l’abbracciano piangendo… i bimbi gridano terrificati… al piano superiore le alunne del laboratorio si sentono come di botto gettate a terra… sono attimi angosciosi; sembra che la casa stia per cadere… attendiamo la morte. Poi ci si riprende. Quasi senza rendercene conto, come trasportate da una forza superiore, ci ritroviamo tutti negli scantinati… Suore, alunni, bambini. Cominciano ad arrivare le madri, i padri spaventati, angosciati per la sorte dei loro piccoli. Dal paese il nostro Istituto si era visto avvolto nel fumo e già si era sparsa la voce di qualche grave disgrazia». Una bomba era caduta poco distante dall’Istituto Amatuzio, ad una cinquantina di metri di distanza, dietro la scuola elementare dove c’era il campo di calcio. Un’altra bomba era caduta su un fabbricato in via Calderari uccidendo quasi l’intera famiglia Perna, sfollata da Napoli. Bojano ormai non era più sicura, gran parte della popolazione decise di lasciare le proprie abitazioni fuggendo in montagna dove ripararono in pagliai e capanne improvvisate, soffrendo fame, freddo, malattie e sofferenze varie. Solo verso la fine di ottobre, quando i tedeschi lasciarono Bojano per ripiegare verso Cassino, dove si era attestato il fronte, la popolazione rassicurata fece ritorno alle proprie case, molte delle quali erano state ridotte in cumuli di macerie, molti anche i fabbricati lesionati, oltre a strade e ponti distrutti. Quell’autunno del ’43 è senza dubbio una delle pagine più tristi della storia locale che non dovrebbe essere mai dimenticata per rispetto di tutti quei morti innocenti e che, purtroppo, gli amministratori locali succedutisi in questi 77 anni non hanno mai commemorato per far conoscere, soprattutto ai giovani, gli orrori delle guerre.
Enzo Colozza

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