Caccia ai cinghiali, le maglie della normativa si allargano e la fondovalle Rivolo diventa il far west: su quella strada si spara.
È lunga circa dieci chilometri, la strada, ma è possibile che anche altre arterie della regione Molise siano interessate dallo stesso fenomeno. Ebbene, lungo questo tratto a scorrimento veloce, specie nel fine settimana, è facile notare gli autoveicoli dei cacciatori. Questi ultimi sono impegnati nelle adiacenti aree, campagne e boschi, nella caccia al cinghiale e ad altri animali selvatici. Fin qui, se il periodo ricade durante il calendario venatorio, potrebbe essere tollerato. Il problema, anzi il pericolo, è lampante se i comportamenti dei cacciatori diventano ostentati, fuori da ogni logica di prudenza, di senso di responsabilità rispetto alla pubblica incolumità. Le foto testimoniano quanto è avvenuto lungo la strada in questione qualche giorno fa. Un uomo si pone sopra il proprio mezzo e il guardrail e punta il fucile verso la campagna perché, evidentemente, da quella posizione ritiene che il colpo vada facilmente a segno verso un animale. Non ha pensato questo cacciatore che da lassù è facile sbagliare bersaglio? Non ha pensato, questo cacciatore, che su quel tratto transitano automobili, ciclisti, eccetera, eccetera? Non ha pensato, questo cacciatore, che nei terreni sottostanti possono esserci abitazioni, cani o animali d’affezione in circolazione e persone? Sì, persone, compresi gli stessi compagni di battuta. Perché parliamo di boschi, campagne, sentieri non interdetti in alcun modo, privati e non. E, allora, il fatto è gravissimo.
Le foto, che sono state scattate da un testimone proprio in transito su quella strada, sono state oscurate in alcuni elementi: il volto dell’uomo e la targa del mezzo non sono visibili. Questo perché, nell’immediato di quanto stava avvenendo, le forze dell’ordine sono state chiamate al telefono e avvisate affinché si portassero immediatamente sul luogo. Il fatto è stato denunciato e il testimone, che si è assunto la responsabilità di portare a conoscenza i rappresentanti dell’ordine pubblico di quanto succedeva su una pubblica via, ha fornito le proprie generalità. Se le indagini sono state avviate, e si spera che lo siano, è dunque opportuno mantenere certi elementi riservati. Oltre alle forze dell’ordine sono stati avvisati anche i rappresentanti di un’associazione animalista.
L’interrogativo, tuttavia, si allarga: tutti coloro che in queste settimane imbracciano le armi, perché è possibile sparare agli animali, sono controllati nei loro comportamenti? La pubblica incolumità è garantita? Le norme sono rispettate? È normale quanto si è verificato? E perché un cittadino qualsiasi deve mettere a rischio sé stesso per denunciare? Inoltre qui si sta dando per scontato che il soggetto in questione sia un cacciatore, con regolare permesso, probabilmente accompagnato da altri cacciatori, tutti in regola. Ipotesi diverse aprirebbero tutt’altro scenario. Ma rimaniamo alla prima ipotesi. Che il fatto sia avvenuto è indubbio: la foto dei bossoli lo documenta. I proiettili sono quelli lasciati sull’asfalto dopo gli spari che, dunque, ci sono stati. Tutto normale?
E, come se non fosse già abbastanza discutibile, il tema è centrale in Europa. Come sappiamo di recente è stata introdotta la norma che consente anche in parchi o aree cittadini la caccia ai cinghiali (per non parlare di lupi, orsi e altre specie protette). È un emendamento “giustificato” dalla circolazione, in molte città italiane, di animali selvatici. È accaduto, però, che questa motivazione non convince la Commissione europea, no. Così, ad inizio febbraio, la Direzione generale Ambiente della Commissione Ue ha inviato una lettera ed ha chiesto con «toni perentori» all’Italia di «rispettare gli obblighi e le tutele delle direttive habitat e uccelli». Dunque l’Italia rischia una procedura di infrazione delle norme sulla caccia. La notizia arriva dalle associazioni ambientaliste: Enpa, Lac, Lav, Legambiente, Lipu e Wwf Italia.
La Commissione ha formulato domande molto specifiche alle quali il governo dovrà dare risposte entro pochi giorni. Nel mirino è la legge 197 adottata il 29 dicembre 2022, articolo 1, che concede alle Regioni la facoltà di provvedere al controllo e, se necessario, autorizzare piani di controllo numerico mediante abbattimento o cattura, delle specie di fauna selvatica, anche nelle zone vietate alla caccia, come le aree protette e nei periodi dell’anno in cui la caccia è vietata. E qui la domanda è scontata: chi stabilisce questi piani di controllo numerico? Le associazioni venatorie per caso?
Ma andiamo avanti: «Desideriamo richiamare l’attenzione delle Autorità italiane – viene chiesto nella missiva di Bruxelles – sugli obblighi derivanti dalla Direttiva Habitat e Uccelli e in particolare su quanto segue: le due direttive prevedono l’istituzione di una rete di zone di protezione speciale. La Direttiva Habitat prevede che gli Stati membri stabiliscano le misure di conservazione necessarie che siano conformi alle esigenze ecologiche dei tipi di habitat naturali di cui all’allegato I e delle specie di cui all’allegato II presenti nei siti. In aggiunta alla protezione garantita dalla rete Natura 2000, l’articolo 12 della Direttiva Habitat prevede che gli Stati membri adottino i provvedimenti necessari atti ad istituire un regime di rigorosa tutela delle specie nella loro area di ripartizione naturale, con il divieto, inter alia, di qualsiasi forma di cattura o uccisione deliberata di esemplari di tali specie nell’ambiente naturale; perturbare deliberatamente tali specie, segnatamente durante il periodo di riproduzione, di allevamento, di ibernazione e di migrazione». E poi la specifica richiesta di spiegazioni: «Si ritiene necessario richiedere alle autorità italiane informazioni dettagliate in merito all’adempimento da parte dell’Italia degli obblighi di cui sopra e in che modo le disposizioni della Legge garantiscono il rispetto del divieto di uccidere o catturare o disturbare deliberatamente gli uccelli».
E si dovrebbe aggiungere: in che modo lo Stato, le forze dell’ordine, possono garantire la pubblica incolumità considerando i criteri recentemente consentiti? Perché non si affronta la materia in modo diverso? Cioè senza ricorrere alla caccia, alle armi, bensì a metodi ecologisti di contenimento della specie? Forse è il caso, allora, di chiedersi se ci sia poca trasparenza nella gestione di questo problema, se ci siano lobbies che spingono verso la liberalizzazione della caccia: il mondo venatorio è assai vario e numeroso tra chi produce armi e tutto il necessario per i praticanti di questa attività. C’è da chiedersi se davvero è opportuno, giusto, civile, serio, prudente, andare oltre i vincoli stabiliti, oltre la logica del buonsenso. C’è un “oltre” che però non si può superare: è la voce di chi dissente, di chi lancia un monito e che non si abbassa.

ROBERTA MUZIO

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