Arrivano pesanti condanne nell’ambito dell’inchiesta Vesuvio che, a gennaio del 2022, ha sgominato un pericoloso sodalizio criminale, riconducibile al clan camorristico Sautto –Ciccarelli, dedito all’estorsione e allo spaccio a Bojano.
Dopo una lunga camera di consiglio, il Gup del Tribunale di Campobasso ha emesso, all’esito del rito abbreviato, sentenza di condanna a carico di quattro imputati. Per tre soggetti, tutti residenti nella provincia di Napoli, accusati di estorsione aggravata dal metodo mafioso e dall’uso di armi, nonché di spaccio di cocaina (per un quantitativo complessivo di circa 5 chili), il giudice ha inflitto pene ricomprese tra i sei anni e cinque mesi ai sei anni e tre mesi di reclusione. Al quarto soggetto molisano, nei cui confronti si procedeva soltanto per spaccio di stupefacenti, è stata invece comminata una pena di 2 anni e otto mesi di reclusione.
In particolare i primi tre soggetti furono arrestati l’anno scorso dai militari del Gico della Guardia di Finanza di Campobasso e del Nucleo Investigative del Comando Provinciale Carabinieri di Campobasso, che hanno eseguiti un’ordinanza applicativa di misure cautelari in carcere emessa dal gip.
L’indagine partì anche grazie alla collaborazione di uno dei molisani arrestati nell’ambito dell’operazione Piazza pulita del 2020. Quest’ultima vicenda, già al vaglio della magistratura giudicante (con diverse condanne confermate in appello), portò all’esecuzione di 39 misure cautelari personali, nonché al sequestro preventivo, di beni mobili ed immobili ed aziende, per un valore di oltre un milione di euro. Alcuni mesi dopo l’esecuzione di tali misure, il capo di uno dei sodalizi investigati – ovverosia il soggetto da ultimo condannato dal Gup di Campobasso per i soli fatti di spaccio – ha inteso collaborare con la giustizia rivelando così i traffici sugli stupefacenti che lo hanno riguardato nel periodo di tempo tra la conclusione delle indagini di “Piazza Pulita” ed il suo materiale arresto.
Già nella precedente attività era emerso come esponenti della camorra avevano portato a Bojano importanti quantitativi di cocaina ed hashish poi rivenduti sul mercato locale. Nella successiva inchiesta, culminata nella sentenza dello scorso mercoledì, sono emersi ulteriori e gravi episodi criminosi legati alla presenza, in regione, di soggetti vicini al clan camorristico Sautto\Ciccarelli. Secondo la ricostruzione fatta da ultimo dal Gup di Campobasso, i soggetti, giovandosi della fama criminale del clan che ostentavano muovendosi in gruppo e palesemente armati, hanno imposto al futuro collaboratore di giustizia continui rifornimenti di cocaina in maniera esclusiva, dettandogli altresì, in termini stringenti, quantità, prezzi e tempistica degli approvvigionamenti.
Nel processo si è riscontrato ancora una volta come il consumo locale di sostanze stupefacenti abbia catalizzato l’attenzione di gruppi legati a clan mafiosi, in questo caso campani, interessati ed essere presenti in regione per lucrare sul giro di affari che da tale fenomeno scaturisce. Nel caso di specie i 5 chili di cocaina spacciati tra Boiano e dintorni, nell’arco di 8 mesi, hanno fruttato circa 500.000 euro. «Tutte le preoccupazioni più volte palesate da questa Procura – evidenzia il procuratore D’Angelo – a margine di indagini concernenti furti, rapine, estorsioni e condotte violente che possono condurre anche a gravi fatti di sangue e che nascono nel mondo delle sostanze stupefacenti si confermano, con la recente sentenza del Tribunale di Campobasso, anche rispetto alla penetrazione in regione di esponenti della criminalità organizzata dalla limitrofa regione Campania ove, purtroppo, tale fenomeno è endemico e si è sviluppato in tutte le sue peggiori articolazioni, aggredendo i settori economici ed i principali diritti dei cittadini. Il suddetto pronunciamento giurisdizionale non ha carattere di giudicato, poiché avverso lo stesso, gli imputati, che secondo quanto previsto dall’art. 27 della Costituzione non sono considerati colpevoli sino alla condanna definitiva, potranno proporre gli appelli ed i ricorsi previsti dal codice di rito».