È cominciato ieri, nel tribunale di via Elena a Campobasso, il processo che vede come imputata la coppia di coniugi di Casalciprano, accusata di maltrattamenti e sequestro di persona. Protagonista della vicenda, balzata anche agli onori della cronaca nazionale, una donna di 68 anni, sorella e cognata dei presunti aguzzini che, secondo l’accusa, l’avrebbero segregata nella loro abitazione tra Casalciprano e Castropignano per 22 anni.
L’udienza di ieri è iniziata con la costituzione delle parti e l’ammissione della lista dei testi del pm, Anna Rita Carollo, della difesa, rappresentata dall’avvocato Demetrio Rivellino e delle parti civili, l’avvocato Tina De Michele che assiste la presunta vittima. Saranno ben 27 i testimoni della difesa, dieci quelli dell’accusa e 13 quelli di parte civile: tra loro anche i carabinieri che hanno condotto le indagini e alcuni residenti di Casalciprano. L’avvocato Rivellino ha sollevato delle eccezioni relative ai capi di imputazione, ritenuti generici e indeterminati in relazione al lasso di tempo trascorso, oltre 20 anni. Eccezioni a cui si sono opposte la difesa e la parte civile e non accolte dal giudice Federica Adele Dei Santi.
Si torna il aula il 20 febbraio 2024 quando saranno ascoltati anche i due coniugi Donato Giuseppe Corsillo e Antonietta Iapaolo. Non comparirà invece tra i testi la presunta vittima, tutt’ora ospitata in una struttura protetta.
La vicenda è emersa nel settembre del 2022 quando scattò il blitz Carabinieri della Compagni di Bojano. I militari fecero irruzione nel casolare della coppia trovando la 68enne all’interno di una rimessa in pessime condizioni igieniche. Secondo gli inquirenti l’incubo è cominciato nel lontano 1995 quando la donna, allora 40enne, rimane vedova. Per non vivere il dolore in solitudine, accoglie l’invito del fratello che le offre ospitalità mettendole a disposizione quella che era la stanza degli anziani genitori. I primi anni di convivenza trascorrono in tranquillità ma poco dopo la donna inizia a diventare un peso per il fratello e viene costretta a spostarsi in una stanza ricavata di fianco alla legnaia, priva di qualsivoglia forma di riscaldamento.
Una rimessa, accessibile mediante una scala a chiocciola esterna. Che viene dotata di un rudimentale sistema di chiusura dall’esterno: uno spago resistente, legato ad un chiodo ancorato sul muro. E così alla donna viene impedito di poter uscire quando la coppia non è in casa.
Per anni non ha potuto usufruire di cure mediche, solo sporadicamente è stata accompagnata da una parrucchiera dove era guardata a vista dalla cognata. La donna non è mai più uscita da sola, neanche per andare sulla tomba del defunto marito e non le è stato mai concesso di fare due chiacchiere con nessuno.
Umiliazioni continue, compresa l’impossibilità di poter curare la propria igiene personale: fratello e cognate le avrebbero permesso un solo bagno al mese, nella vasca arrugginita e sporca usata per il bucato. Non avrebbe nemmeno avuto accesso ai servizi igienici, nella stanza ricavata accanto alla legnaia dove ‘sopravviveva’, non era presente alcun sistema di riscaldamento.