L’area che, in località Capoiaccio, ha ospitato dagli anni Sessanta al 1987 l’impianto estrattivo della Montedison è oggi recintata e interdetta al transito. Il Comune di Cercemaggiore, nel quale ricade il territorio dove si procedeva all’estrazione del petrolio, ha utilizzato i fondi stanziati il 24 gennaio del 2018 quando il Consiglio regionale del Molise approvò all’unanimità un emendamento inserito in Finanziaria e teso a erogare un contributo straordinario di 50mila euro destinato proprio alle necessarie operazioni per la messa in sicurezza dell’area. I fondi sono stati quindi messi a disposizione del Comune di Cercemaggiore che ha predisposto le opere e ha utilizzato i 50mila euro stanziati dal Consiglio regionale per finanziare i lavori di recinzione dell’intera zona. Oggi, come cinque anni fa, vi campeggia la segnaletica che avvisa della presenza, nell’area, di contaminazioni radioattive. In quella zona, i rilievi condotti dall’Arpam Molise nel gennaio del 2014 – sollecitati dall’ex consigliere regionale Ciocca che si recò dall’allora ministro Orlando per chiedere chiarezza su quella storia dimenticata – e poi ulteriormente certificati dall’Ispra (l’Istituto di Protezione e Ricerca Ambientale), consentirono di verificare «una diffusa presenza su determinate aree di una radioattività γ superiore anche di dieci volte il valore di fondo». A Capoiaccio – in quella porzione di terreno che oggi è completamente recintato – c’erano pozzi, impianti, serbatoi e vasche destinate alla decantazione delle acque di estrazione per la successiva reiniezione. Le analisi dell’Arpam hanno certificato che «in quelle vasche venivano trattate anche le acque di estrazione provenienti da altri pozzi che insistevano sia sul territorio di Cercemaggiore sia da extra regione». Nella fattispecie, acque che arrivavano dai pozzi delle Masserie Spavento di Melfi. «Nello specifico – si legge ancora nella relazione dell’Arpa Molise – una porzione di territorio sostanzialmente in prossimità delle vasche di decantazione è interessata da valori abnormi di radiazioni γ». Questi riscontri indussero l’allora primo cittadino di Cercemaggiore – il sindaco Gino Donnino Mascia – a circoscrivere l’area con la collocazione di avvisi di rischio radioattivo. Gli stessi che oggi campeggiano sulla recinzione a maglie strette e di certo meno penetrabile di quelle precedenti. Ulteriori accertamenti poi hanno permesso di identificare altre aree interessate dal fenomeno «e precisamente corrispondenti ai luoghi attraversati dal fosso vernile che sostanzialmente costeggia il sito di interesse, con una lunghezza di circa un chilometro, per poi sfociare in un altro corpo idrico superficiale che a sua volta recapita nel Torrente Freddo». Nella relazione preparatoria al documento finale che poi l’Arpam ha reso noto nel marzo del 2014, i tecnici dell’Agenzia per la Protezione Ambientale del Molise hanno ulteriormente specificato che «l’area interessata dalle misure anomale corrisponde alla zona in cui erano state realizzate le vasche di decantazione delle acque provenienti dai pozzi. Le misure preliminari effettuate hanno permesso di stabilire che i valori di radioattività sono attribuibili a radionuclidi di origine naturale, in particolare il radioisotopo naturale Piombo 212». L’Arpam, allora, ha avanzato anche una ipotesi di spiegazione di tali “valori abnormi”, che da allora non sono stati ulteriormente né indagati né accertati. «Normalmente i processi usati per estrarre petrolio e gas generano scarti radioattivi in differenti forme – si legge nella relazione -; si tratta di scarti che vengono fuori dalla perforazione e da mettere in relazione con le formazioni geologiche che possono contenere a vario titolo elementi radioattivi quali uranio, torio, radio, piombo e i loro prodotti di decadimento. La presenza di vasche di sedimentazione porta a ipotizzare che in passato possa essere avvenuto un reiterato processo di trattamento delle acque, dei fanghi e delle melme di perforazione all’interno delle vasche senza che si sia parallelamente eseguita una sufficiente e valida procedura di allontanamento dei residui di trattamento». L’Arpam, allora, ha suggerito di prevedere azioni di bonifica. La Terza Commissione consiliare si preoccupò di chiamare in audizione i vertici dell’ex Montedison, al fine di capire cosa avesse potuto procurare i ‘valori abnormi’ della radioattività. I pozzi dismessi, subito dopo la chiusura dell’impianto, furono letteralmente sigillati con il cemento armato. Impossibili da indagare fino in fondo. Ma gli ex Montedison non hanno mai partecipato ad alcun incontro istituzionale. E quindi non hanno mai chiarito fino in fondo i dubbi e le perplessità derivanti dall’esito delle indagini condotte dall’Arpam.
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