Il 20 gennaio del 1973, a Campobasso, si concludeva la lunga esistenza di Nicola Mastropietro, alla bella età di 96 anni.
Nato nel capoluogo nel 1877, figlio dell’abile coltellinaio Francescopaolo, fin da giovane si dedicò all’arte dell’acciaio traforato, prima donando nuova energia alla già avviata bottega del padre, e poi mettendosi in proprio, aprendo agli inizi del ‘900 in piazza Vittorio Emanuele un negozio che per molti decenni fu un vero e proprio centro di attrazione per i campobassani e un punto propulsore per il rilancio dell’arte del traforo, dopo la fase di declino verificatasi nel periodo a cavallo tra XIX e XX secolo.
Poliedrico, versatile, geniale, abilissimo nel disegno – fase preliminare e fondamentale nella realizzazione di questo genere di oggetti – con i suoi “ricami” nell’acciaio seppe conquistare premi e allori in tutta Italia: il brevetto col quale nel 1910 la Regina Madre Margherita di Savoia gli concesse la facoltà di fregiare la Ditta con lo stemma della sua Casa Reale rappresentò l’apice del suo successo; ma anche le numerose medaglie conquistate in Esposizioni a Palermo, Milano, Montecatini, Napoli – solo per ricordarne alcune – dimostrano quanto fosse pregiato il livello della sua produzione.
Elevatissimo, però, non fu solo il livello della sua arte: anche la qualità dei suoi manufatti era eccelsa. Lo dimostra per esempio il fatto che nel 1916 il generale Luigi Cadorna, Capo di Stato Maggiore del regio Esercito, nel pieno della Prima Guerra Mondiale, gli fece recapitare un rasoio da barba “Mastropietro”, che usava già da otto anni, perché ne risistemasse il taglio, ordinandone contemporaneamente altri due. Segno che, evidentemente, non si accontentava di un rasoio qualunque, ma che voleva per sé proprio quelli dell’abile artefice campobassano.
Il negozio, aperto agli albori del ‘900 e contraddistinto da un’insegna da lui stesso prodotta tutta in acciaio traforato, fu spesso e volentieri un vero e proprio punto di riferimento per frotte di concittadini e forestieri che si fermavano ad ammirare le smaglianti vetrine, specialmente in occasione delle tradizionali esposizioni che un tempo, la sera del giovedì santo, vedevano i commercianti del centro concorrere fra loro per l’allestimento più bello.
Era anche un uomo che sapeva coltivare le amicizie: risalgono agli anni ‘30, infatti, alcuni dei suoi lavori migliori e cioè i servizi da scrittoio realizzati per i suoi cari amici Andrea Caterini e Monsignor Alberto Romita, Vescovo di Campobasso, al quale ogni anno, in occasione dell’onomastico, donò uno o più dei pezzi che andarono poi a ricomporre lo straordinario set completo.
Nel secondo dopoguerra trasmise la sua arte ad alcuni allievi, tra i quali si possono ricordare soprattutto Antonio D’Aquila e Mario Villani poi, a partire da circa la metà degli anni ‘50, si dedicò all’esecuzione di disegni che riproducevano in modo perfetto molti degli oggetti da lui realizzati in passato, raccogliendoli in coloratissimi album. Riempì pure numerosi quaderni con le sue memorie e con molti scritti da altro genere, tanto da meritarsi anche per questa ragione, quando morì, l’appellativo di “poeta dell’acciaio”: fu questo, infatti, il titolo degli articoli con i quali su alcuni giornali del 1973 fu commentata la sua scomparsa.
Sono trascorsi esattamente cinquant’anni da allora: in città non c’è nulla che ricordi Mastropietro o gli altri traforatori che con la loro arte hanno fatto conoscere il nome di Campobasso in giro per il mondo. Anche le famose lettere dell’insegna del suo negozio non campeggiano più lungo il corso ormai da quasi un ventennio.
Restano però gli oggetti, gelosamente custoditi in tante case della città e non solo.
E rimane tutta l’ammirazione per un personaggio che fu certamente un abilissimo artefice ma anche, e forse soprattutto, un uomo straordinario.
Vittorio Mancini