“Amarti e onorarti nella buona e nella cattiva sorte, in salute e in malattia”. Una promessa che tutte le coppie pronunciano all’altare. Ma in quanti sono realmente disposti a fare di tutto, anche privarsi di un organo, per consentire alla persona amata di non soffrire più?
La risposta arriva dal meraviglioso esempio di Paolo Sapio, 43enne dal cuore ‘molisano’ attualmente residente a Madrid.
Nato a Napoli e cresciuto ad Ischia, Paolo ha vissuto dai 12 anni in poi a Campobasso. In molti in città, ancora oggi, si ricordano di lui, del ragazzo con i dreadlock e i rollerblade ai piedi, appassionato di arte e basket, dai modi pacati e dal sorriso gentile.
Poi l’incontro con Silvia, l’amore della sua vita e il trasferimento in Spagna, la sua seconda casa.
Oggi la loro storia e il suo incredibile gesto d’amore stanno facendo il giro del web.
Paolo, infatti, ha deciso di donare un rene alla sua amata, affetta da una rara malattia genetica.
Dal letto dell’Hospital Universitario La Paz di Madrid è lui a rassicurarci: «Stiamo benissimo. Ora io e Silvia abbiamo una missione: far capire a tutti che non bisogna mai aver paura di donare», spiega.
Un esempio di vero amore e di altruismo, concetti sempre più rari oggigiorno, che meritava, dunque, di essere raccontato.
Paolo da quanto tempo tu e Silvia siete sposati?
«Siamo sposati dal 2013, ma per quanto mi riguarda il nostro matrimonio non ha avuto inizio dalla firma dei documenti bensì dal giorno in cui ci siamo scambiati il nostro primo bacio a Campobasso».
Come vi siete conosciuti?
«La prima volta che l’ho vista stavo pattinando, come mia abitudine, lungo il corso di Campobasso. Lei era una studentessa Erasmus. La vidi e rimasi fulminato. Da lì nacque prima una sincera amicizia. Poi, dopo un paio di anni, abbiamo avuto l’occasione di rincontrarci e abbiamo deciso di passare il resto della nostra vita insieme».
Come avete affrontato la malattia di Silvia in questi anni?
«Quando Silvia ha visto che le mie intenzioni nei suoi confronti iniziavano a farsi serie, a circa un mese da quel famoso primo bacio, ha voluto aprirsi con me raccontandomi del suo problema. Lo ha fatto con grande senso di responsabilità sapendo che l’avrei vissuto anche io in prima persona come suo compagno. Le dissi che l’unica cosa che mi interessava era stare con una persona meravigliosa come lei e che non doveva preoccuparsi perché tutto sarebbe andato tutto per il meglio. Come poi è stato. Sono sempre stato convinto che sarei stato io a donarle il rene. Da artista sono sempre stato “sognatore”. Lei, invece, da buona biologa, è una persona più realista. Sapeva che sarebbe stato difficile essere compatibili non solo per il gruppo sanguigno ma anche per una lunga serie di fattori.
Ma io lo sapevo. Lo sentivo a pelle.
La malattia l’abbiamo affrontata in maniera molto naturale, quasi “indifferente”. Fortunatamente, anche grazie al trapianto, Silvia non si è mai dovuta sottoporre a trattamenti più impegnativi come la dialisi. Anche per questo ho deciso di propormi come donatore vivente. In caso contrario, infatti, avremmo dovuto attendere, dopo l’eventuale dialisi, il decesso di un donatore. E in lista di attesa, per la compatibilità, i tempi si sarebbero allungati anche di 3-4 anni.
Nel corso degli anni abbiamo dovuto seguire, per ovvi motivi, una dieta abbastanza rigida. Silvia, essendo biologa e tecnologa alimentare, è riuscita a studiare un piano che le consentisse di allungare ulteriormente la ‘vita’ del suo rene. Abbiamo tirato avanti tanti anni in questo modo e non ti nascondo che ci siamo anche divertiti nell’inventare ricette.
Il suo piano ha funzionato così bene da apportare addirittura dei miglioramenti, a volte impercettibili trattandosi di una malattia degenerativa, alla sua condizione, tant’è che gli stessi medici che la seguivano le hanno proposto di stilare un ricettario dedicato a persone con il suo stesso problema. Da qui l’idea di creare un profilo Instagram “Tus recetas Pro Riñón” dove siamo riusciti ad elencare una serie di ricette creative realizzate con i pochi ingredienti che Silvia poteva utilizzare nella sua dieta. La pagina ha avuto un successo inaspettato. Hanno iniziato a seguirci tantissime persone con problemi renali da ogni parte della Spagna e del Sud America – visto che la pagina è in lingua spagnola – ma anche dagli Stati Uniti. Ad oggi il profilo conta circa 1000 follower».
Quando avete saputo che c’era la necessità di intervenire non ci hai pensato due volte.
«Assolutamente. Sapevo che doveva andare così. Dentro di me avevo già destinato il mio organo a Silvia. Ho affrontato tutto questo periodo con una tranquillità enorme. Ho pensato “il mio rene resta in casa, non perdo niente. È qui con me. Anzi, forse è in mano migliori delle mie”.
Ti confesso anche un’altra cosa. Quando doni un rene i medici tutelano molto il donatore. Perciò, fino all’istante che precede l’anestesia, ti chiedono se sei convinto di voler affrontare l’operazione. In caso contrario, ovvero se il donatore si tira indietro, lo stesso non è tenuto a dare spiegazioni. Agli atti risulterà semplicemente che il donante non è idoneo.
Così, quando sono entrato in sala operatoria – un’entrata “faraonica” tra selfie e battute – il primario mi ha rivolto la fatidica domanda: “Allora Paolo, sei sicuro di volerlo fare?”. La mia risposta è stata immediata: “Assolutamente sì, con tutta la serenità possibile”. E infatti, ancora oggi, ricordo con grande gioia questa esperienza».
Come vi sentite ora?
«Sinceramente uguali a prima. Ci sentiamo tranquilli e sereni. Non è cambiato nulla. Certo, un po’ acciaccati e deboli a causa dell’operazione. Ma ci stiamo riprendendo».
Quali sono state le prime parole che tua moglie ha pronunciato quando si è svegliata?
«Ci hanno operato quasi simultaneamente. Prima me, ovviamente, poi lei. Mentre uscivo dalla sala operatoria, ancora intontito dall’anestesia, ricordo di essermi agitato tant’è che mi sono tolto la mascherina. C’erano altri pazienti intorno a me ma sentivo che Silvia era lì. Quando mi hanno visto così, medici e infermieri hanno detto: “Mettiamoli uno di fronte all’altro”. E così ho visto Silvia. Le ho chiesto come si sentiva e lei mi ha risposto che stava bene.
Quando poi ci siamo risentiti in videochiamata mi ha detto che il rene era perfettamente funzionante. Anche i medici, in 30 anni di carriera, non avevano mai assistito ad un caso così rapido di ripresa dell’organo. Mi sono messo a piangere. È stato un momento davvero emozionante».
Tornassi indietro lo rifaresti?
«Assolutamente sì. Anche adesso se potessi. Se avessi tre reni donerei anche il secondo! È stata un’esperienza indescrivibile. Un’emozione unica. Ho deciso che anche quando morirò donerò i miei organi e fino a quel momento cercherò di prendermi cura di me. Questi “pezzi di ricambio” che lasciamo agli altri sono troppo preziosi per essere ‘buttati’ via. Ci consentono di restituire la vita ad altre persone».
Consiglieresti ad altri di donare?
«Sono scelte importanti e personali che ovviamente comportano dei rischi. Ma oggigiorno le tecnologie sono così avanzate che i rischi sono davvero minimi. È come salire su un aereo e pensare che può cadere. Non per questo decidiamo di non viaggiare.
Posso solo dire che la mia esperienza è stata come far nascere una vita. Ho provato quello che probabilmente prova una madre quando mette al mondo un figlio. Sono scoppiato in lacrime quando ho rivisto Silvia. Un’emozione che non si dimentica».
Serena Lastoria

Commenta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.