Basta parlare o decidere per loro: «Dovete farlo con noi, non al posto nostro!».
È questo il messaggio lanciato anche dai ragazzi dell’Aipd di Campobasso in occasione delle celebrazioni per la giornata mondiale delle persone con sindrome di Down.
Ieri mattina in Piazza Vittorio Emanuele II il flash mob realizzato dai protagonisti sulle coreografie illustrate, in un tutorial, da Francesco e dal comico romano e conduttore radiofonico Lillo, alias Pasquale Petrolo, testimonial della campagna nazionale dell’edizione 2023.
Dopo giorni di prove, ‘armati’ di fischietti, i ragazzi hanno eseguito la coreografia insieme a familiari, amici, gruppi scout e rappresentanti della scuola di danza AG Master Dance, concedendo ai presenti anche un graditissimo bis. A seguire l’esibizione di danze etniche e danze di animazione con l’associazione Moliseradici.
In piazza anche gli operatori e i volontari dell’associazione che, con impegno e professionalità, accompagnano quotidianamente i ragazzi nel loro il percorso di autonomia, e numerosi cittadini accorsi all’evento.
Presente, come sempre, anche il ‘pilastro’ dell’Aipd di Campobasso, la presidente Giovanna Grignoli.
«Credo davvero che il messaggio che si vuole lanciare quest’anno (ma che vale sempre!) è proprio quello di smetterla di considerare le persone con sindrome di Down degli eterni bambini, bisognosi sempre che qualcuno faccia al posto loro. Oggi si vuole affermare il concetto di “assertività” delle persone con sindrome di Down e la loro capacità di autodeterminarsi.
Tutti i percorsi fatti in questi anni sono finalizzati sia all’affermazione, che è il punto fondamentale per una corretta integrazione, sia all’acquisizione di autonomia e il nostro impegno è quello di farci sentire per dare senso compiuto a parole come autonomia, casa, istruzione, diritto al lavoro».
Quali sono gli stereotipi più diffusi sulle persone con sindrome di Down?
«Spesso si dice “sono tutti uguali” (affettuosi, amanti della musica, biondi ecc.). Non è così. Hanno alcune caratteristiche comuni (un cromosoma in più, un deficit mentale e alcuni aspetti somatici) ma per il resto, ogni persona è diversa dall’altra.
“Sono sempre felici e contenti”, è lo stereotipo più comune. Come per chiunque altro, la serenità di un bambino, di un adolescente, di un adulto con sindrome di Down è legata al suo carattere, all’ambiente e al clima familiare, alle sue attività sociali e, dunque, alla qualità della sua vita.
Si dice ancora che esistono forme “lievi” e forme “gravi” di sindrome di Down: il grado di ritardo mentale non dipende dal tipo di trisomia (anche se esiste una forma rarissima – “mosaicismo” – in cui il ritardo può, ma non sempre, essere lieve). Le differenze tra una persona con sindrome di Down e l’altra dipendono dai fattori di cui sopra.
O, ancora, “non vivono a lungo”: la durata della vita è aumentata enormemente.
Sono “ipersessuati” oppure “eterni bambini” privi di interessi sessuali: in realtà gli adolescenti con sindrome di Down non differiscono sostanzialmente dagli altri né per quel che riguarda l’età d’inizio della pubertà, né per l’anatomia degli organi sessuali. Provano desideri e hanno fantasie sessuali come gli altri loro coetanei.
Si dice, inoltre, che hanno “genitori anziani”. Falso, perché il 75% circa dei neonati con sindrome di Down ha genitori sotto i 35 anni».
Poche settimane fa l’Aipd di Campobasso ha compiuto un altro notevole passo in avanti. Parliamo ovviamente del progetto “Una casa per domani” che, dopo anni di attese e lungaggini burocratiche, ha finalmente visto la luce. Come procede la convivenza dei ragazzi?
«Il sogno di una “casa per il dopo di noi” è diventato realtà… Ci auguriamo di non svegliarci! E questo dipenderà solo dalle Istituzioni che, impegnate nei propri affari, dimenticano di dare risposte ai tanti genitori che, fin dal primo momento della nascita del proprio figlio disabile, si pongono domande sul futuro del proprio caro. Per noi associazione è una risposta alle persone con sindrome di Down, alla loro richiesta di libertà, autonomia che, seppur con dei limiti, è possibile e realizzabile, concludendo, così, quel processo di inclusione che li vede pari agli altri. Ci dispiace, però, che tutto ciò sia frutto solo della buona volontà di associazioni e privati e non di una risposta propositiva da parte delle Istituzioni».
Oggi essere autonomi cosa significa per le persone con sindrome di Down?
«Essere autonomi non è fare tutto da soli, (neanche noi ci riusciamo!). È saper chiedere, usare strategie personalizzate, è imparare dagli altri in un percorso di crescita e di condivisione. Ed è quello che fa “casa nostra”, un luogo dove potenziare, il più possibile, le capacità di autonomia, di comunicazione e socializzazione, con attività quali la cura della propria persona e la cura della casa, il fare la spesa e il cucinare, l’apparecchiare e sparecchiare la tavola, il rigovernare, ecc.; organizzare spazi di socializzazione e occupazione con laboratori vari di tipo creativo e ricreativo, a seconda delle “versatilità individuali”».
Inclusione, un concetto che ha senso se contestualizzato anche in ambito lavorativo. In Molise a che punto siamo?
«Integrazione, inclusione… solo parole abusate: la vera inclusione ci sarà solo quando in tutti i territori e per tutte le fasce di età, si assisterà ad una reale e concreta presa in carico delle capacità e dei desideri della persona e tutti i diritti saranno ottenibili, partendo dal diritto alla scuola inclusiva, al tempo libero, al lavoro, alla casa, alla vita affettiva… ma finché tutto ciò non sarà realtà chiamiamola “accettazione!”».
Secondo la sua decennale esperienza alla guida dell’Aipd, qual è la più grande paura che un genitore si ritrova ad affrontare e cosa si può fare ancora per rendere migliore la vita delle persone con sindrome di Down?
«La prima domanda che ogni genitore si pone alla nascita del figlio disabile è: “Cosa ne sarà di mio figlio quando io non ci sarò più?”. Consapevoli di questa angoscia, noi stiamo provando a rispondere con soluzioni abitative che siano rispondenti ai desideri delle persone con sindrome di Down e non solo una risposta all’emergenza. Per questo riteniamo che bisogna cominciare “durante di noi” a progettare un corretto “dopo di noi”. Ma da soli non ce la possiamo fare».
Serena Lastoria