Cosa è successo la sera del 24 dicembre del 2021 in via Vico, nei minuti che hanno preceduto la morte di Cristiano Micatrotta, colpito da un fendente letale alla gola? È quanto ricostruito ieri nell’aula del tribunale di via Elena nel corso della terza udienza del processo che vede come unico imputato Gianni De Vivo, accusato di omicidio premeditato. Sono comparsi davanti alla Corte d’Assise di Campobasso i due testimoni che, la sera della Vigilia, hanno assistito al fatto di sangue, arrivati in auto in via Vico insieme alla vittima. Alessio Madonna, cognato di Micatrotta, si è avvalso della facoltà di non rispondere: il giovane è infatti imputato nel processo per un altro reato (quello di rissa, per cui è già stato condannato in primo grado e per cui ricorrerà in Appello, ndr) ma anche come parte offesa nel procedimento per omicidio.
Giuseppe Di Mario ha invece risposto alle domande del pm Sabusco, degli avvocati di parte civile Roberto D’Aloisio, Fabio Albino e Domenico Fiorda e dei legali dell’imputato, Mariano Prencipe e Giuseppe Stellato.
I tre (Micatrotta, Madonna e Di Mario) si sono recati nei pressi dell’abitazione di De Vivo per incontrarlo e «chiarire» una questione legata ad una presunta cessione di droga. Secondo la testimonianza, De Vivo avrebbe acquistato nel pomeriggio della cocaina da Micatrotta, ma successivamente si è accorto di essere stato truffato sulla qualità dello stupefacente. Per questo avrebbe contattato telefonicamente e tramite messaggi Madonna, per chiedere la restituzione dei soldi, 50 euro.
«Alessio (Madonna) mi ha detto che aveva ricevuto delle minacce da De Vivo e che doveva chiarire la situazione. Io sono andato con loro solo per cercare di placare gli animi».
Una volta arrivati in via Vico però c’è stata subito una colluttazione tra Madonna e De Vivo. Micatrotta – secondo il racconto del teste – ha cercato di dividerli con un calcio indirizzato a De Vivo. A quel punto però è stato colpito alla gola con un coltello. La vittima ha estratto il coltello e si accasciata a terra. È stata soccorsa da Madonna mentre Di Mario avrebbe spinto via De Vivo per allontanarlo.
Dopo Di Mario sono stati ascoltati anche i carabinieri che hanno eseguito i rilievi nell’immediatezza dei fatti. Il militare del reparto Anticrimine di Campobasso, che si è occupato dei tabulati telefonici, ha confermato che quel pomeriggio De Vivo contattò telefonicamente Madonna ben 68 volte, ma non Micatrotta. È poi emerso che subito dopo i fatti la felpa dell’imputato non venne sequestrata dai carabinieri.
«I testimoni di oggi hanno fornito ulteriori elementi per la ricostruzione della vicenda e mi sembra che la responsabilità si stia delineando in maniera inoppugnabile», ha commentato l’avvocato Roberto D’Aloisio a margine dell’udienza.
Sulla stessa linea l’altro avvocato di parte civile Fabio Albino: «Il testimone ha assistito a tutta la vicenda, dall’inizio fino alla morte del povero giovane, ed è venuto a ricostruirla in maniera dettagliata, dicendo sostanzialmente dove erano le persone quella sera, chi ha fatto cosa e come lo ha fatto».
L’avvocato Domenico Fiorda si è invece soffermato sul tenore delle chiamate intercorse tra De Vivo e Madonna: «Quello che emerso oggi (ieri, ndr) è che ci sono state delle chiamate minatorie da parte dell’imputato e questo la dice lunga».
Minacce che invece, per il legale di De Vivo Mariano Prencipe, non hanno alcun fondamento: «Di queste minacce non c’è prova, il teste di Mario non le ha mai viste è quello che gli avrebbe riferito qualcun altro. Infatti nei telefoni non sono stati ritrovati messaggi né le ha mai ascoltate in prima persona».
Si torna in aula il prossimo 28 aprile.