«Mi hanno aggredito in tre, mi sono solo difeso. Il coltello non era mio». Fanno rumore in aula le parole di Gianni De Vivo, unico imputato nel processo in Corte d’Assise per l’omicidio di Cristiano Micatrotta. Ieri mattina, nel corso dell’udienza, il 40enne ha reso delle dichiarazioni spontanee decidendo, però, di avvalersi della facoltà di non rispondere, dunque non è stato interrogato dagli avvocati di parte civile e dall’accusa, rappresentata, questa volta, direttamente dal procuratore Nicola D’Angelo.
Il racconto fornito ha ripercorso tutti i momenti drammatici in via Vico, versione, per altro, già resa durante l’interrogatorio di garanzia, che solo oggi è entrata nel fascicolo del dibattimento. La sera della Vigilia di Natale del 2021, secondo l’imputato, i tre – Micatrotta, Madonna e Di Mario – sono arrivati sotto la sua abitazione e lo hanno aggredito. «Non è stata una rissa, erano tre persone contro una – ha esordito davanti alla corte presieduta dal giudice Casiello – mi sono sentito tirare da dietro, poi mi hanno colpito con dei pugni alla testa, sulla tempia sinistra. Non ricordo se ho urlato “lasciatemi stare”, però cercavo di liberarmi con tutta la forza che avevo. Quando mi sono trovato davanti Micatrotta lui aveva il coltello in mano – ha spiegato – e gli ho tirato un calcio sul braccio per farglielo cadere, per disarmarlo».
Tant’è che il coltello cade a terra ed è lì che parte la seconda fase della colluttazione, quella che è stata fatale a Micatrotta: «Mi sono chinato per raccoglierlo – continua De Vivo – perché anche Madonna voleva prenderlo, io l’ho afferrato dalla parte del manico, lui dalla lama e si è tagliato». Gli attimi successivi, secondo De Vivo, sono concitati ma, ribadisce: «io non ho fatto il gesto della coltellata», intendendo di non aver colpito Micatrotta alla gola volontariamente.
Poi si rivolge alla Corte: «Sono mortificato per quello che è successo, per la vita spezzata di una ragazzo, potevo essere io a morire. Da 18 mesi sono in carcere, un’umiliazione per me e per la mia famiglia. Mi dispiace – ripete – per come sono andate le cose, io ero convinto che quella sera (la Vigilia di Natale) si sarebbe trattato di una ‘cosa veloce’: scendevo, parlavo e via. Invece sono l’unica persona che ha pagato, l’aggressore (riferendosi a Di Mario, ndr) è diventato un testimone, la sua ricostruzione non è vera».
Dopo le dichiarazioni di De Vivo sono comparsi altri testi: i carabinieri che hanno effettuato le perquisizioni a casa dell’imputato e della vittima per cercare elementi riconducibili all’arma del delitto, «ma entrambe – hanno dichiarato i militari – hanno dato esito negativo, non c’erano coltelli simili o set di coltelli con pezzi mancanti».
È stata poi la volta della madre di De Vivo, che ha trascorso il pranzo della Vigilia proprio a casa del figlio in via Vico insieme al compagno e alla nipotina. Gli avvocati della difesa hanno mostrato le foto dell’arma del delitto ma la donna ha dichiarato di «non aver mai visto quel coltello a casa di De Vivo». Ascoltato pure il compagno della madre che, la notte tra il 24 e 25 dicembre, ha portato gli abiti in caserma a De Vivo. «Ci ho parlato per pochi minuti – ha raccontato – e mi ha ripetuto di essere stato aggredito da tre persone e si è dovuto difendere. Piangeva, era agitato e sconvolto. Io ho cercato di calmarlo, poi ho notato che si toccava il fianco e lamentava dolori e aveva parte del viso tutta rossa. Così quando sono uscito dalla stanza ho chiesto ai carabinieri di farlo visitare.
Al termine dell’udienza gli avvocati di parte civile si sono detti soddisfatti di quanto emerso in aula: «È andata benissimo – il commento dell’avvocato Roberto D’Aloisio – perché l’imputato non si è sottoposto ad interrogatorio ma a mero esame ed è caduto in pesantissime contraddizioni sconfessando se stesso e tutte quante le risultanze processuali che convergono univocamente verso la sua piena colpevolezza».
Sulla stessa linea anche l’avvocato Fabio Albino: «La nostra posizione oggi esce rafforzata, siamo dell’opinione che quanto detto dall’imputato non trova il minimo riscontro in tutti gli accertamenti, le indagini e le perizie che sono stati svolti. Ma di questo eravamo consapevoli sin dall’inizio».
Per i legali di De Vivo, Mariano Prencipe e Giuseppe Stellato, invece, l’udienza di ieri ha fornito nuovi ed importanti elementi alla fase dibattimentale: «L’imputato oggi ha evidenziato nella sua ricostruzione che non c’era volontà di sferrare il colpo – ha spiegato Stellato – altrimenti avrebbe colpito altrove, e ha espresso perplessità perché vede come testimone quello che secondo lui è stato un suo aggressore. Questo per noi non è una novità perché già in udienza preliminare abbiamo chiesto al pubblico ministero di rimettere gli atti in procura anche nei confronti di Di Mario poiché, dato il tenore delle intercettazioni e delle conversazioni, è complicato ritenerlo del tutto estraneo quantomeno nel meccanismo della rissa».
«De Vivo sin nell’immediatezza dei fatti – ha proseguito l’avvocato Prencipe – ha detto di non aver portato alcun coltello. Ha spiegato chi aveva il coltello ed è l’unico che spiega come si è fatto male Madonna. Finora nessuno è stato in grado di dircelo, men che meno lo stesso Madonna e nemmeno Di Mario. Dobbiamo tener conto che quello è un contesto concitato, non è una scena limpida, lineare. Del resto tutti i tecnici che sono stati sentiti hanno detto che si possono fare ipotesi ma certezze non ce ne sono. Lo stesso medico legale ha detto che essendo un contesto molto concitato, essendo la parte in cui è stato attinto il povero Micatrotta una parte molto mobile, non è stato in grado di stabilire quale fosse la posizione delle parti durante la colluttazione».
Prossima udienza mercoledì 7 giugno.
md