Campobasso e L’Aquila sono gli unici capoluoghi italiani che ‘resistono’ alla tassa di soggiorno.
È Firenze, invece, la città con le tariffe più alte per la suddetta imposta. Nella culla del Rinascimento, sono richiesti importi più alti rispetto a tutte le altre principali città del paese per ogni singola categoria di struttura ricettiva presa in considerazione dalla recente analisi di Centro studi enti locali, per Adnkronos.
«L’imposta di soggiorno – ricorda Csel – viene applicata per notte di pernottamento a persona, con i seguenti correttivi (per i quali ogni contribuente deve controllare il regolamento applicativo): vengono previste spesso riduzioni ed esenzioni di natura oggettiva (ad esempio, la non applicazione dell’imposta in certi periodi dell’anno) o soggettiva (esenzioni per minori, persone a mobilità ridotta o residenti nel comune in questione) e viene normalmente previsto un periodo massimo di applicazione dell’imposta, decorso il quale non viene più applicata in base alle notti di pernottamento.
Ad oggi, sono 17 su 20 le città capoluogo italiane che applicano questo tributo. Le tre che mancano all’appello sono L’Aquila, Campobasso e Bari. Quest’ultima, però – specifica Csel -, l’ha recentemente istituita (con delibera del Consiglio comunale del 25 luglio 2023) e manca all’appello soltanto l’adozione delle tariffe per iniziare a renderla applicabile. Le più moderate, al di sotto della media per ognuna delle voci ricomprese nel novero dell’analisi, sono Ancona, Cagliari, Palermo, Perugia, Potenza e Trieste. Per quanto riguarda il Comune di Venezia, sono state oggetto di analisi le cosiddette “tariffe base”, ovvero quelle vigenti nell’alta stagione all’interno del centro storico della città e nelle isole con principale vocazione ricettiva».