Se ancora esistesse il Partito Comunista nessuno più di Pina Fusco meriterebbe che le fosse intitolata la sezione campobassana. Un riconoscimento meritevole in quanto donna straordinaria, capace di praticare la politica senza da essa farsi fagocitare, e, soprattutto vissuta con vera e straordinaria dedizione nei confronti del prossimo. La politica, quella da sempre considerata un sporco affare, interpretata ad un’età, in un’epoca, nel dopoguerra, in cui tutt’al più alle brave ragazze era concesso di poter pensare solo all’amore.
Si sono svolti domenica mattina alla Mater Ecclesiae i funerali della professoressa Maria Giuseppina Fusco che ci ha lasciati dopo una lunga malattia sopportata con quella dignità severa e convincente che obbliga gli altri a non lasciarsi scappare alcun cenno o parola di compatimento. Era una tosta Giuseppina che col dolore aveva dovuto imparare ben presto a convivere. Era tosta nel senso che era decisa, risoluta dotata di quella logica che rende, coloro che la posseggono, capaci di affrontare i problemi, qualsiasi problema, con quell’intelligente buonsenso tale da appianare qualsiasi difficoltà. Era tosta ma non indurita. Né prigioniera né ostentatrice del senso integerrimo dell’onestà che la caratterizzava. Con capacità e generosa sensibilità ha svolto la missione di insegnante stando sempre dalla parte degli alunni, al fianco dei giovani, verso i quali nutriva attrattiva e, attraverso una dialettica, alta e convincente, ha plasmato le loro coscienze oltre che l’intelletto. Era lei stessa figlia di insegnanti. Il padre, Antonio, morto giovanissimo, insegnava matematica al liceo “Mario Pagano” la madre, la gentile e sorridente professoressa Rosina Sassi lettere al ginnasio. Sono cresciuti orfani, lei e i tre fratelli, patendo ciascuno a proprio modo proprio nell’età in cui i genitori rappresentano la sicurezza, il distacco da un padre non abbastanza conosciuto e troppo poco goduto. Le quotidiane difficoltà di ordine pratico ed economiche che sono derivate da quel lutto hanno obbligato il nucleo famigliare a barcamenarsi tra i numerosi problemi che la signora Rosina ha dovuto affrontare attraverso non pochi sacrifici, compreso quello di dover separare i figli e allontanare proprio lei, bisognosa di tenerezza, dal resto della famiglia. Tempo fa quando delusa dalla politica se ne era completamente distaccata ha voluto lasciare alle ragazze di oggi il proprio testamento morale rimasto per alcuni anni confinato nella memoria del computer. Un testamento che oggi più che mai pur esprimendo rimpianto e dolore è di attualità infondendo anche un briciolo di speranza.
A raccontare ai giovani di oggi l’epoca, il mondo, la giovinezza, i sogni e le speranze vissute da molti di noi che domenica mattina ci siamo ritrovati sul sagrato della chiesa per salutarla un’ultima volta, rimane il libro che nel 2008 ha pubblicato per Filopoli “Un corvo nel cuore”.
«…nello stanzone, il corvo si era ripreso. In grembo ad un altro vecchio, Giuseppe. Era stato con loro, il corvo, diversi giorni. A pane e acqua. Poi era volato via. Vivo. Michele mi aveva spiegato che i corvi sono forti e combattivi, che non accettano di dover morire e lottano finché possono lanciando il loro grido di attacco: Craagh!
“Ma che significa quel grido?”, avevo voluto sapere io. Lui non era sicuro, però pensava che volesse dire “Coraggio”».

Vittoria Todisco

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