Pena ridotta a 11 anni e sei mesi (rispetto alla condanna di primo grado a 15 anni e quattro mesi) e cadute le accuse di rissa e porto abusivo d’armi, mentre restano quelle di omicidio e lesioni personali. Si è concluso ieri mattina, poco prima delle 13, il processo di secondo grado a carico di Gianni De Vivo, il 40enne che la sera della vigilia di Natale del 2021 in via Vico uccise con un fendete alla gola Cristiano Micatrotta, al culmine di una lite scoppiata per motivi di droga. La Corte d’Assise D’Appello, composta dal presidente Pupilella, dal giudice Paolitto e dai sei giudici popolari, dopo più di un’ora di camera di consiglio, ha accolto in pieno la richiesta di concordato avanzata dalla difensore dell’imputato, l’avvocato Mariano Prencipe. Dunque, a distanza di due anni dall’omicidio, restano ancora diversi dubbi: in primo luogo chi ha portato l’arma del delitto in via Vico. De Vivo, nel corso del dibattimento, ha sempre sostenuto che il coltello non fosse il suo e di essere stato aggredito dalla vittima, Madonna a Di Mario. Ora, anche i giudici di secondo grado hanno escluso, a carico di De Vivo, l’accusa di detenzione di coltello e di rissa. Reato, quest’ultimo che è stato invece contestato a Madonna, nell’altro filone del procedimento, in entrambi i gradi di giudizio. « Siamo soddisfatti tecnicamente per la sentenza- ha dichiarato al termine dell’udienza, che si è tenuta a porte chiuse, l’avvocato Prencipe – è una pena che si avvicina l’omicidio preterintenzionale che all’omicidio volontario. Quella del concordato è stata una scelta dell’imputato, più che altro una scelta di vita, perché noi dal punto di vista tecnico eravamo e restiamo convinti che potevamo ottenere una sentenza addirittura migliore. Ci sono ancora aspetti e coinvolgimenti che restano oscuri.
Non hanno invece nascosto la delusione gli avvocati di parte civile Fabio Albino e Roberto D’Aloisio.
«Amarezza infinita – ha commentato Albino – non tanto per noi quanto per i poveri familiari della vittima. D’altra parte è prevista la strada del concordato in Appello, dunque questo incontro delle volontà tra le difese e il procuratore, strada in cui la parte civile viene completamente estromessa. Noi abbiamo manifestato tutta la nostra perplessità e, in qualche modo, anche indignazione».
«Le sentenze vanno sempre accettate – le parole di D’Aloisio – e i miei assistiti dovessero ritenere di ricorrere alla Corte europea dei diritti dell’uomo sarò disponibile ad assisterli anche in quella sede. Immaginate di avere un familiare che finisce morto ammazzato – conclude amareggiato – Campobasso la condanna è di 11 anni e sei mesi».