Lo scontro dentro e fuori Palazzo San Giorgio, a distanza di quasi un mese dal primo Consiglio in cui si è consumato il passaggio – o ‘tradimento’ a seconda dei punti di vista – di Varra e Madonna in maggioranza, non accenna a placarsi.
Stavolta a dare il la alle critiche è l’approvazione, da parte del Consiglio regionale, alla legge di modifica alla Statuto e alla nomina del secondo sottosegretario. Una scelta aspramente criticata dal gruppo Pd, 5s e Costruire Democrazia di Palazzo D’Aimmo, che hanno gridato allo scandalo. Eppure c’è chi vede un ‘parallelismo’ tra quanto avvenuto in via IV Novembre e al Comune di Campobasso. Sia il consigliere regionale Roberto Di Pardo – che ha puntato il dito contro Massimo Romano – sia l’ex consigliere comunale (prima tra le file della stessa Costruire Democrazia, poi candidato del Polo civico di Scasserra, ndr) Michele Coralbo hanno accusato il campo progressista di adottare due pesi e due misure.
«La fantomatica aggregazione politica che occupa le poltrone a sinistra del parlamentino regionale – scrive Coralbo – grida allo scandalo e allo spreco.
Ricordo a me stesso che non più tardi di due settimane fa la stessa aggregazione sinistroide, dopo essersi stracciate le vesti sui palchi di piazza Municipio in occasione delle elezioni comunali del capoluogo lanciandosi le accuse peggiori in merito a mala gestione politica, condotta immorale, incapacità nel governare e più chi ne ha ne metta, proprio per conservare le poltrone tanto agognate di sindaco, vicesindaco, assessore, presidente del Consiglio, deleghe a caso a tutti i consiglieri, riesce a mettere insieme tutto l’arco costituzionale, ribaltando così la volontà popolare e i patti e le promesse con i cittadini».
Non si è fatta però attendere la replica di Pino Ruta che ha voluto mettere «un po’ d’ordine tra poche idee peraltro molto confuse».
Per il leader del cantiere civico «non si può confondere chi moltiplica le poltrone ed i costi, approfittando dell’autonomia statutaria e legislativa della Regione, con chi, invece, si è limitato, applicando la legge esistente in tutta Italia, ad assegnare deleghe o, se vogliamo, poltrone già previste dal legislatore per tutti i comuni capoluogo (quindi, confondere le mele -ovvero la questione del sottosegretario regionale- con le pere – ovvero con le deleghe date dal sindaco al comune di Campobasso – è un vero e proprio “granchio” non solo dal punto di vista legislativo e costituzionale, ma anche fattuale).
La seconda questione, più specifica: con tutte le criticità di una sinistra spesso confusa e lontana da ideali progressisti, avere però nominato un presidente del Consiglio o degli assessori non mi sembra un atto fuori da regole e spese già previste: è la normale prassi per far funzionare un ente, non potendo l’Assise comunale funzionare senza un presidente che ne coordina i lavori e non potendo una giunta funzionare, quale organo collegiale, senza assessori. Comprendo che questa volontà di non far funzionare il Comune sia un’aspettativa (politica) della (sola) destra per far fallire una gestione amministrativa della sinistra (con buona pace degli interessi dei cittadini), ma dire che tali caselle non vadano riempite e che equivalgono alla scelta di istituire un secondo (inutile) sottosegretario regionale è davvero un falso storico divulgato ad arte per fare confusione ed indurre in errore qualche elettore ignorante.
La terza questione, proseguendo nel ragionamento e nel dettaglio: anche le indennità (oltre alle poltrone) concesse dal sindaco non le ha stabilite la Forte o il comune di Campobasso, ma il legislatore nazionale: quindi, è evidente la confusione (o disinfornazione) che governa nel non distinguere il caso del sottosegretario regionale, dalla nomina del presidente del consiglio e degli assessori nel comune di Campobasso.
La quarta questione ovvero la scelte del presidente del Consiglio: la elezione, da parte di un’assemblea consiliare, composta da una maggioranza e da un’opposizione, non è una “nomina”, ma una cosiddetta elezione di secondo livello, non demandata alla Forte ed agli elettori ma ai rappresentanti già eletti perché scelgano chi possa governare lo svolgimento delle sedute consiliari; tale “elezione” (prerogativa sia della maggioranza sia dell’opposizione) non è paragonabile alla “nomina” di un organo esecutivo come la giunta – che risponde invece solo ad una maggioranza ovvero da una metà campo – posto che il presidente del consiglio deve rappresentare (o cercare di rappresentare) tutti, tanto più ove l’elettorato non abbia espresso un maggioranza netta. Se è così, mi spieghi perché tale ruolo non possa essere votato ed assegnato ad una persona eletta nelle file dell’altra metà campo, soprattutto se di fiducia anche del centro sinistra ed adeguatamente rappresentativa, poiché più votata in generale? Nel bilanciamento di poteri tra una maggioranza ed un’opposizione incerta, una forma di equilibrio non andava comunque trovata (pur non essendo stato io tra i promotori di questa scelta e pur non condividendola)?
Qual è lo scandalo?
Che la persona scelta, eletta nella destra non abbia risposto ad un “ordine di scuderia” forse prepotente ed incomprensibile della propria metà campo volto solo ad inceppare la macchina comunale in danno della città. Un po’ come quelli che, quando perdono, vanno via con il pallone: solo che in questo caso non si tratta di un gioco tra due squadre, ma di un’istituzione pubblica dal cui funzionamento dipende un’intera città, dalle scuole, ai trasporti, ai rifiuti, alle strade ecc?
E’ evidente che la questione posta sul caso Varra, che avrebbe – il condizionale è d’obbligo- asseritamente “tradito” un partito del quale non aveva neppure una tessera e gli elettori, non è un problema dell’istituzione consiliare, ma una questione tutta interna ad un gruppo politico di minoranza (Fratelli d’Italia) che non rappresenta l’istituzione nel suo complesso. Peraltro, sempre più spesso, quando l’elettorato non esprime un maggioranza netta, la necessità di formarne o assestarne una nell’ambito dell’istituzione per garantirne il funzionamento ed un equilibrio è una scelta obbligata per evitare la paralisi. Tanto più che gli stessi eletti del centrodestra avevano già espresso la scelta di non voler andare a rivotare». Infine Rita difende la scelta di appoggiare Forte al secondo turno. «Il tanto declamato ‘“inciucio” per le poltrone, è un “falso” frutto di abile disinformazione e confusione, mista a delazione. Inciucio di che? E per chi?
Si chiama “accordo per il ballottaggio” visto che sfugge ai più che ne parlano in modo errato e disinvolto, che c’è stato un “doppio turno”, ovvero un “doppio voto” e posto che nell’accordo che ho stipulato (rinunciando alla poltrona di vice sindaco ed assessore offertami), ho cercato solo di salvaguardare gli obiettivi del cantiere civico (spesi in campagna elettorale), tutelando non di cento me stesso ma le associazioni, i cittadini o corpi intermedi che mi avevano votato al primo turno ed il cui consenso è stato, in seguito, integralmente confermato, al secondo turno, approvando con il proprio voto (19% del Cantiere Civico aggiunto sl 32% del Centro Sinistra) l’accordo stipulato e pubblicato, comprensivo di nomine assessorili a presidio degli obiettivi fissati.
Quindi di cosa parliamo? Di un accordo trasparente sottoposto al voto degli elettori?
Ovvero di un accordo che ha previsto lo stesso legislatore tra il primo turno ed il ballottaggio e che è funzionale a fare un po’ di sintesi, che è stato sottoposto al voto democratico degli elettori che lo hanno scelto ed approvato?
Vedo che hai delle idee molto confuse anche su senso dell’inciucio che è tutt’altra cosa.
Caro Michele – conclude Pino Ruta – al netto di ogni altra considerazione a te già nota su scelte politiche e personali, credo che fare delazione e confusione non giovi all’informazione ed alla tutela della nostra città».

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