Sui ricorsi non ha molto da dire. «Le chiacchiere le porta via il vento. Aspetto di leggerli entrambi. E poi, se del caso, magari commenterò».
Anche Salvatore Colagiovanni ammette dunque di non conoscere nel dettaglio le istanze proposte ai giudici amministrativi dal candidato sindaco del centrodestra, Aldo De Benedittis.
«Sapevo, come lo sapevano i miei colleghi che oggi cascano dalle nuvole, che Aldo (De Benedittis, ndr) stava lavorando a un ricorso. Non conosco i termini, ma ritengo che abbia fatto bene ad agire senza rendere noti i dettagli».
Colagiovanni è convinto che nel centrodestra, in particolare tra candidati ed eletti al Comune di Campobasso, ci sia più di qualche gola profonda. «È accaduto che ancora prima che assumessimo decisioni, gli “amici” del centrosinistra erano al corrente di ogni nostra intenzione. Mi è capitato di non partecipare a qualche incontro per ragioni personali o di lavoro e di quell’incontro ho saputo tutto, non dai “miei”, ma dagli “avversari”. Perché concedere vantaggio? Ha fatto benissimo De Benedittis. Ha agito nell’interesse del centrodestra. Condividere il ricorso con tutti avrebbe aperto al rischio concreto, secondo me, di anticipare “gratuitamente” le sue mosse alla controparte».
Nel merito, Colagiovanni non è né d’accordo né in disaccordo: «Ogni cittadino elettore ha diritto di chiedere l’accertamento delle procedure di un’elezione. Non si tratta di essere d’accordo o meno, si tratta di riconoscere che un diritto può essere esercitato, piaccia o non piaccia. E poi i ricorsi possono sempre essere ritirati».
Strategia quella di De Benedittis?
«Bisognerebbe chiederlo a lui. A chi non è d’accordo con il suo ricorso, vorrei ricordare che se i giudici dovessero accogliere quello presentato dal centrosinistra, buona parte dei consiglieri eletti della mia coalizione andrebbe a casa. Ecco, fossi in loro mi preoccuperei anche e soprattutto di questo».
Sul passaggio di Varra e Madonna dal centrodestra al centrosinistra ha cambiato idea?
«Assolutamente no! Se mi sta chiedendo un giudizio, ribadisco: chi sono io per giudicare? Al massimo provo, e non sempre mi riesce, a giudicare il mio operato. Ognuno risponde alla sua coscienza. Tra l’altro Giovanni (Varra, ndr) e Antonio (Madonna, ndr) sono cari amici e per cultura non parlo – nel bene e nel male – degli amici. Avranno avuto le loro buone ragioni. E poi mica mi posso nascondere? Anche io sono passato da una parte all’altra. Il periodo in cui sono cresciuto di più amministrativamente è stato quello vissuto accanto ad Antonio Battista, sindaco del Pd, che mi ha concesso l’onore di entrare in giunta. E ne vado fiero».
Però in quella circostanza lei ha cambiato casacca prima delle elezioni.
«È vero. Ma cambia poco. Ognuno agisce secondo le proprie idee. Non insista perché non caverà un ragno dal buco. Hanno fatto bene o hanno fatto male lo diranno gli elettori alla prossima tornata. In definitiva, ognuno ha avuto nei giorni scorsi un approccio con il centrosinistra. Cosa vuole che le dica: c’è chi se l’è sentita e chi no».
Quindi è stato contattato anche lei?
«Nessuno mi ha proposto nulla. Qualche battuta tra amici… Alla quale ho risposto fornendo la massima disponibilità purché si fosse trattato di un governo di larghe intese da sviluppare rispetto ad una serie di punti programmatici. Per intenderci, ognuno doveva restare a “casa” sua e al posto suo. Ad un ragionamento del genere avrei aderito senza problemi».
E qual è stato l’inghippo?
«E lo chiede a me? Sono l’ultima ruota del carro. Per quanto mi è dato sapere, c’è stato un dialogo tra i vertici delle coalizioni, ma se poi non si è trovata la sintesi, è evidente che dall’una o dall’altra parte sono state avanzate richieste irricevibili. Nella nostra coalizione, per esempio, Fratelli d’Italia non era molto d’accordo ad avviare un ragionamento di intese. E del resto sarebbe impossibile immaginare un governo Meloni-Schlein. Era inoltre stato chiesto a tutti di evitare fughe in avanti».
E quindi è partita la trattativa one-to-one.
«Evidentemente sì».
A lei non è stato proposto nulla?
«Il mio sogno – e gli amici del centrosinistra lo sanno – è fare il sindaco di Campobasso del centrodestra. In questa fase della mia vita politica non c’è spazio per altre prospettive. Se non sarà possibile, mi ritiro. Ho ancora tanto da fare e da dedicare alla mia famiglia, ai miei figli. La politica mi scorre nelle vene ma non è tutto. Anzi…».
Conviene che il centrodestra nella fase post ballottaggio qualche errore lo ha commesso?
«Chi non commette errori? E come non commetterne provando ad accontentare gli appetiti di eletti e primi dei non eletti».
Quindi?
«Quindi cosa? Politicamente ne escono tutti con le ossa rotte. All’atto pratico il problema è di chi deve amministrare la città. Oggi il centrosinistra ha la maggioranza ma non ha numeri bulgari. Come si fa opposizione lo sappiamo. E sappiamo anche che i rapporti tra le anime progressiste, al di là delle rappresentazioni di facciata, sono molto tesi. Non ci scommetterei che riusciranno a trovare la quadra in ogni occasione per i prossimi cinque anni. Probabilmente mi sbaglio. Vedremo».
Prevede altre defezioni, altri cambi di casacca?
«Eh… Penso che la maggioranza non sia ancora al completo. Conoscendo il “regista” del centrosinistra immagino che qualcuno non riposi nemmeno la notte per capire come completare il puzzle».
Roberto Ruta?
«Grande “Robertino”. Credo che lui e il presidente Roberti sotto il punto di vista politico siano quanto di meglio abbia mai espresso il Molise. Entrambi vengono dalla gavetta, dalla strada. La loro sapienza è frutto dell’esperienza maturata sul campo. A Roberto Ruta mi lega un rapporto di amicizia, stima e affetto che va oltre la politica. Roberto e Roberti si nutrono di politica».
Se le venisse offerto un posto in giunta?
«Non ci provi. Non me lo offrirebbero mai perché sanno che non accetterei. Il mio sogno è la fascia tricolore».
Ma il centrodestra le ha tarpato le ali.
«A prescindere dall’atto finale, intorno a me ho costruito un gruppo di amici che mi ha sostenuto quando ho lottato per ottenere la candidatura a sindaco, mi ha seguito durante le elezioni, qualcuno si è anche candidato e insieme stiamo guardando con ottimismo al futuro. La politica ha i suoi tempi. E i tempi io li rispetto. Certo non all’infinito. E poi non vorrei apparire ripetitivo ma a 50 anni mi sono tolto già belle soddisfazioni. Sopravvivo anche senza la fascia tricolore. Probabilmente se mi fermo e rifletto, vivrei anche meglio (sorride, ndr)».
Pentito di non aver accettato la candidatura per il Consiglio regionale sperando in quella da sindaco di Campobasso?
«Assolutamente no. Ho creduto in un progetto e l’ho portato avanti. Guardi, le vie del Signore sono infinite. Tra poco più di tre anni si vota di nuovo anche per la Regione. Ringraziando Iddio, al di là della collocazione partitica – di cui sono più che convinto – vanto un’autonomia che mi consente di ragionare e agire da uomo libero. Detto in parole povere: non ho padroni e non cerco padrini. Il mio elettorato è fatto di gente umile, persone perbene, amici che condividono con me un percorso intrapreso decine di anni fa. Se domani decidessi di scendere in campo con la lista – banalizzo per alleggerire – “Colagiovanni forever” otterrei un buon risultato. Non è presunzione ma consapevolezza dell’impegno e del lavoro quotidiano. Le strategie le lascio ai grandi pensatori, alle grandi menti. I risultati sono altra cosa e mi pare che la storia mi stia dando ragione». LuCo

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