Bandiere della pace e striscioni per una battaglia sposata non solo dai rappresentanti dell’associazione Malatesta, ma dalla società civile, diverse forze politiche (Pd, Verdi e sinistra e Movimento 5 Stelle) e numerosi cittadini. Il sit in organizzato davanti alla sede Rai, dopo la censura durante la trasmissione Uno Mattina, ha acceso i riflettori su un problema più ampio, quello della libertà d’informazione.
I rappresentanti dell’associazione non hanno rilasciato interviste ma hanno affidato il loro pensiero ad un comunicato – letto durante la manifestazione – in cui sono stati puntualmente ricostruiti i fatti e che pubblichiamo integralmente, senza alcuna censura: «Alcuni mesi fa siamo stati contattati da un rappresentante del Comune di Campobasso per una trasmissione televisiva che avrebbe fatto tappa nel nostro capoluogo con l’intento di presentare il progetto “Draw the Line”, una iniziativa artistica che dal 2015 ha realizzato 15 opere sulle facciate del quartiere San Giovanni di Campobasso che ha visto coinvolti numerosi artisti italiani e internazionali.
L’intervista è stata concordata per il 26 agosto giorno in cui era prevista la diretta con la trasmissione Uno Mattina in onda su Rai Uno. Nella serata del 25 agosto, il rappresentante dell’associazione che sarebbe dovuto intervenire, è stato contattato dalla giornalista Ilaria Grillini con la quale ha concordato l’organizzazione e gli argomenti da trattare durante il servizio televisivo. Nessun tipo di indicazione è stata fornita in merito a loghi o marchi commerciali da non esporre. La mattina del 26, il nostro rappresentante era presente all’appuntamento concordato indossando la maglietta di un progetto umanitario promosso dall’Associazione Gaza Freestyle con la quale collaboriamo attivamente da alcuni anni attraverso attività artistiche e sociali nella striscia di Gaza. Questo anche prima del 7 ottobre. La t-shirt indossata mostrava un piccolo aquilone con i colori della bandiera palestinese e la giornalista ha intimato immediatamente al nostro associato di cambiare la maglietta se avesse voluto partecipare alla trasmissione. Allo scontato diniego di cambiare il proprio abbigliamento, la giornalista ha proposto di girare la maglietta per evitare di mostrare alle telecamere il loghetto con i colori della Palestina. Il nostro rappresentante, sconcertato ha spiegato più volte alla giornalista che quella maglietta appartiene ad una iniziativa del 2019 sostenuta dai Malatesta per una raccolta fondi da destinare al progetto “Gaza Freestyle” che ha come scopo di portare alla popolazione palestinese un supporto sociale, psicologico ed economico.
Era del tutto normale e casuale per il nostro associato, indossare una delle magliette rappresentative dell’associazione Malatesta, d’altronde le opere scelte dalla stessa giornalista erano quelle riferite a temi, oggi purtroppo attualissimi, come la guerra, i potenti delle terra e la sopraffazione. La dottoressa Ilaria Grillini dopo una breve telefonata ha confermato la decisione irremovibile di non consentire l’intervista indossando quella maglietta. A quel punto il nostro rappresentante ha deciso di abbandonare il set televisivo e a malincuore, ha rinunciato all’intervista ripercorrendo al contrario altri 70 km per far rientro alla propria attività lavorativa».
Poi le considerazioni e il monito rivolto non solo ai giornalisti Rai: «Siamo fortemente preoccupati perché una giornalista della Rai, televisione di Stato e quindi servizio pubblico, abbia manifestato così tanto timore ed attenzione ai colori che rappresentano la bandiera di una nazione martoriata dalla guerra da quasi 80 anni. Sono state uccise, soltanto negli ultimi mesi, più di 40mila persone di cui circa la metà bambini (dati ufficiali). Sappiamo che il servizio pubblico ha regole stringenti per quanto riguarda loghi e stemmi rappresentativi di marchi commerciali, di pubblicità implicita o esplicita, di messaggi di odio, violenza o a qualsiasi messaggio anticostituzionale. Il resto è al buon senso, a quanto pare. È contrario al buon senso indossare un piccolo aquilone che esprime da sempre un ideale di sostegno e di pace? Tra l’altro trattasi di simbolo non registrato, che non costituisce pubblicità, non rappresenta messaggi di odio e violenza, né messaggi anticostituzionali. Dunque chi è colui che si arroga il diritto di decidere qual è il buon senso? Chi decide in questo caso? Il delegato di produzione della testata giornalistica? E che indicazioni ha costui?
Basta sfogliare la pagina personale della giornalista per accorgersi che nelle foto pubblicate sul suo profilo, ci sono immagini della stessa trasmissione, con ospiti che indossano loghi e marchi di abbigliamento e di attività private che a quanto pare non hanno avuto la stessa attenzione che ha ricevuto l’aquilone.
Chiariamo anche un altro aspetto: non avevamo assolutamente intenzione di mettere in atto nessuna manifestazione pro Palestina in quella sede anche perché abbiamo avuto molte difficoltà a garantire la partecipazione di un nostro associato alla trasmissione e il nostro unico intento era quello di promuovere il nostro progetto e la nostra città.
Ci chiediamo quindi quale sia il clima che si respira in Rai, servizio pubblico televisivo italiano, da tempo assoggettata alla politica e ora vittima di una “operazione di occupazione e spartizione” da parte della destra. “La maggioranza ha esplicitamente rivendicato una maggiore influenza sulla Rai
e una sorta di diritto ad avere una televisione pubblica allineata con i vincitori delle elezioni” così come riportato nel “Monitoraggio del pluralismo dell’informazione nell’era digitale” giunto qualche mese fa in Vigilanza Rai e prodotto dal Centre for media pluralism and media freedom. L’organismo è promosso dall’Unione europea e ha il compito di monitorare lo stato dell’arte dell’editoria negli Stati membri ed in sintesi il centro è molto preoccupato per il sistema informativo italiano. Ci chiediamo inoltre in quali ambienti di tutela operano i giornalisti liberi tenendo presente che il sistema legislativo sulla libertà di stampa diventa sempre più stringente come ad esempio la riforma Cartabia e il Bavaglio Costa che di fatto limitano la comunicazione di informazioni alla comunità con conseguenze negative per lo stato di diritto. Ma secondo il nostro modesto parere, il problema della libertà di informazione non sta solo nel servizio pubblico, anche la stampa locale ha le sue responsabilità. Ormai diventata espressione di potentati locali – sostengono dall’associazione – che guerreggiano sulle testate giornalistiche a suon di comunicati stampa e che i nostri cari giornalisti riportano tali e quali sulle testate cartacee e digitali.
Perché ce la prendiamo con i giornalisti? Perchè voi siete i nostri occhi e le nostre orecchie, siete quelli che dovrebbero farci riflettere, che dovrebbero schierarsi e che dovrebbero creare opinioni. Se questo è il giornalismo locale, voi non servite più a nulla visto che ormai chiunque può scrivere sui social. Abbiamo bisogno di altro, abbiamo bisogno che voi stimoliate le coscienze, che siate obiettivi e liberi. Alzatevi da quei computer e fate come si faceva una volta, parlate con la gente, guardatela negli occhi, approfondite e scrivete i vostri articoli così da ristabilire quel senso di umanità che anche voi avete perso. In conclusione, questa volta abbiamo vissuto sulla nostra pelle quello che denunciamo da molto tempo attraverso l’arte e le nostre iniziative ovvero un atto di censura che ha limitato la nostra libertà personale e di espressione.
E questo fa molto male!».

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