Da tempo ormai, il cimitero comunale di Campobasso è teatro di una tragedia che va oltre la perdita. Non si tratta solo del dolore per chi è scomparso, ma anche di quello per chi, a distanza di settimane o addirittura mesi, non ha ancora trovato una sepoltura dignitosa.
Nella struttura di San Giovanni, infatti, diverse salme giacciono nell’obitorio in stanze chiuse al pubblico, trattenute in un limbo di silenzio e oblio. Bare accatastate in spazi anonimi, intrappolate in una dimensione fredda e priva di ogni sorta di empatia. Dietro quelle porte chiuse non ci sono solo corpi: ci sono storie, ricordi, vite che meritano rispetto.
E mentre i defunti attendono la pace che gli spetta, i familiari vivono un calvario che sembra non avere fine. Come si può spiegare il dolore di una madre, di un figlio, di un coniuge, che non solo ha perso una persona amata, ma non riesce nemmeno a donarle l’ultimo gesto di amore e dignità? Per loro, quel lutto resta aperto, una ferita che si allarga ogni giorno di più.
Il motivo di questa vergogna? Secondo quanto riferito ai familiari, alla base di questa triste realtà ci sarebbe l’assenza di spazi da destinare ai defunti che scelgono di essere tumulati sottoterra. Le esumazioni a quanto pare procedono lentamente, e il sistema sembra incapace di rispondere alle esigenze della comunità. Così, le bare restano lì, mentre i vivi, inascoltati, combattono contro una burocrazia distante e indifferente.
Dietro ogni nome inciso su una lapide c’è una vita che ha avuto un valore. Un padre, una madre, un amico, una persona amata che ora non trova pace. E quel valore viene calpestato. La dignità negata non è solo quella dei defunti, ma anche quella dei loro cari, costretti a vivere in un’angoscia senza fine.
Tra loro, una giovane donna di Campobasso che da mesi attende di dare degna sepoltura al padre, l’uomo più importante della sua vita. «È uno scandalo – racconta a Primo Piano Molise – aspettare così tanto per qualcosa che dovrebbe essere un diritto fondamentale. Non tutti possono permettersi un loculo, che ormai sfiora prezzi proibitivi. Sembra che esistano morti di serie A e di serie B, a seconda delle possibilità economiche».
Il feretro di suo padre è stato sistemato in una stanza con altre tre bare. «Alcune sono accanto ai lavandini, nell’antibagno. La bara di mio padre è posata su una sorta di treppiede, sopra c’è solo una foto. È straziante: non solo affrontiamo il lutto, ma ci sentiamo impotenti, incapaci di dargli pace».
A peggiorare tutto, persino il diritto di onorare i defunti è stato limitato. I familiari hanno potuto visitare quelle stanze solo in fasce orarie specifiche durante le commemorazioni del 1° e 2 novembre. «Non possiamo nemmeno portare un fiore, né sapere quando tutto questo finirà», prosegue la donna, con la voce rotta dalla disperazione.
Il suo appello è un grido di dolore che risuona in tutta la città. «Non chiediamo nulla di straordinario, solo il rispetto di un diritto umano e morale: dare ai nostri cari un luogo di riposo. Questa situazione è una ferita aperta per chi vive un lutto, una sofferenza che si aggiunge alla perdita stessa. È tempo che le autorità intervengano».
Le bare ‘dimenticate’ sono il simbolo di un sistema che non funziona, ma soprattutto di un’umanità che sembra essersi smarrita. Non si tratta più di numeri o di spazi: si tratta di rispetto, di dignità, di empatia.
Campobasso non può più chiudere gli occhi. Ogni giorno che passa senza una soluzione è un affronto alla memoria dei defunti e al dolore dei vivi. La morte merita rispetto. E chi resta, chi piange e lotta, merita risposte.

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