La storia di Alfredo Carlo Antonio Bongusto deriva da una “ruota dei proietti”. Sì, avete letto bene. Intorno al 1877 una donna, la temporanea responsabile dei proietti, si presenta all’allora Duca Francesco Frangipane, sindaco di Campobasso, con questo neonato e dice che nei pannolini c’era un bigliettino con scritto Urbano Alfredo Buongusto. È così che inizia, come una favola, la storia di Fred Bongusto con Campobasso. Il padre Giuseppe, figlio di quella ruota, muore nella Guerra in Grecia nel 1942 e Alfredo ancora bambino si trasferisce a Padova dove studierà per un po’, ma poi ritornerà a Campobasso. Adesso capite la canzone “Carissimo maestro di Padova”? Intanto, prima della morte, il papà si recava sempre dal maestro Tabasso perché era un appassionato di musica e suonava la chitarra e da lì Alfredo prende la musica. Per lanciarlo la casa discografica tolse la ‘u’ da Buongusto e voleva chiamarlo Al Bongusto, ma Alfredo disse che, a prescindere da Al Capone, sembrava il nome di un ristorante, molto meglio Fred. Quando tornava a Campobasso Alfredo parlava sempre in campobassano come per rimarcare che lo show business non l’aveva corrotto e che lui nel cuore sarebbe sempre stato campobassano. Alfredo era una persona sensibile, armoniosa mai sguaiata, un uomo colto. A lui
piaceva la grafica e praticava due ore di sport al giorno.
A lui piaceva il tennis ed era stato un buon giocatore di pallone diceva: «Guarda il fisico, sarei stato un ottimo giocatore». Era un generoso ed aveva un pessimo rapporto con il denaro. Subì un furto molto importante, ma si rimise in piedi con l’aiuto di una banca di Campobasso. Fu prezioso l’aiuto dell’amico fraterno Ludovico Socci che fu il suo manager il suo braccio destro, colui che gli toglieva tutte le incombenze burocratiche, e Gaetano Scardocchia con il quale scrisse l’inno al Mario Pagano. E nel 1993 per il ventennale della morte del giornalista Scardocchia fu chiamato al Teatro Savoia di Campobasso da Giuseppe Tabasso, il figlio del maestro Lino e salendo su quel palco gli disse: «Ma lo sai che non sono mai salito su questo palco?». Un po’ ce l’aveva con Campobasso, diceva: «Ma sai che nei negozi di dischi di questa città io non esisto!».
In realtà ha amato molto di più lui Campobasso che Campobasso Fred Bongusto. Aveva un po’ rotto con la città, aveva disertato feste importanti e a Campobasso veniva solamente per trovare la sorella e la mamma. Ma da giovane Alfredo ne aveva fatti di matrimoni, comunioni, battesimi insieme ad altri ottimi musicisti, in un’orchestrina Jazz molto carina. La sua era una voce molto bella e quando gli amici di orchestra gli dicevano: «Ma tiè ssà bella voce, pecché nè vuò cantà?». Lui rispondeva testardo: «Perché me mett scuorne!». E da lì il cantare a testa bassa per molti anni all’inizio della sua carriera.
Sì avete capito, il crooner italiano, il più importante cantante confidenziale italiano, aveva vergogna di cantare. Si trovò a una serata organizzata da Gianni Agnelli a cantare insieme ad Aretha Franklin che gli disse: «Hai una voce talmente armoniosa che sembra cantata nell’ovatta». Aveva in mente di scrivere una sua biografia Alfredo, insieme al giornalista Giuseppe Tabasso ma poi non se ne fece nulla più. Un episodio su tutti: il 31 dicembre 1968 , un gruppo guidato da Adriano Sofri bombardò di arance la BUSSOLA DOMANI, dove sul cartellone c’erano scritti i nomi di Shirley Bassey e Fred Bongusto.
Buon compleanno Alfredo, sei stato uno dei fiori all’occhiello del Molise e l’orgoglio campobassano. Dalla fine degli anni Sessanta sei stato tra i più ricercati autori italiani di musica da film, soprattutto nel genere della commedia all’italiana, vincendo per due volte il Nastro d’Argento per la migliore colonna sonora.
Hai collaborato nel corso della tua lunga carriera con artisti internazionali tra cui Chet Baker, Don Costa, Toquinho, Vinicius de Moraes e Antonio Carlos Jobim.
Grazie di tutto.
“Amore fermati…
Sta vicino ed accarezzami:
forse è colpa della musica
ma non t’ho amato mai così”.
Alfredo Carlo Antonio Buongusto 6 aprile 1935- 8 novembre 2019.
Con infinito affetto,
Rosa Maria Socci.