Una giovane donna molisana, vincitrice di concorso pubblico, si è vista negare l’assunzione da parte di un’amministrazione comunale toscana perché madre e intenzionata a usufruire del congedo parentale. A distanza di mesi, la giustizia ha confermato che quella scelta fu discriminatoria. La Corte di Appello di Firenze, con sentenza del 10 aprile 2025, ha riconosciuto il comportamento dell’amministrazione come lesivo della dignità e dei diritti della lavoratrice.
La donna, originaria di Campobasso, aveva partecipato e vinto un concorso indetto dal Comune di Monte Argentario, in provincia di Grosseto. Convocata per la firma del contratto, aveva comunicato all’ufficio personale la necessità di avvalersi dell’astensione facoltativa per maternità, in quanto madre di un neonato. La risposta del Comune non si fece attendere: l’iter di assunzione fu immediatamente sospeso, senza spiegazioni formali.
Secondo quanto ricostruito dai legali della donna, gli avvocati Giorgio Barletta e Antonino Mancini, l’amministrazione aveva perfino rifiutato di ricevere formalmente la candidata, costringendola a presentarsi presso la sede comunale con il supporto delle forze dell’ordine per fare constatare la propria presenza e documentare l’accaduto.
Il Tribunale del lavoro, in primo grado, aveva già riconosciuto il carattere discriminatorio della condotta tenuta dal Comune. Secondo il giudice, il mutamento di atteggiamento dell’ente era da attribuirsi unicamente alla volontà espressa dalla lavoratrice di usufruire del congedo parentale. Una circostanza che, di fatto, aveva determinato la mancata assunzione.
«Se la candidata non avesse comunicato l’intenzione di esercitare il proprio diritto all’astensione – ha scritto il giudice nella sentenza – sarebbe stata certamente assunta. La scelta del Comune, pertanto, è da considerarsi discriminatoria, in quanto fondata esclusivamente sullo status di donna e madre».
Al termine del processo di primo grado, il Tribunale aveva riconosciuto alla donna il risarcimento del danno subito, comprensivo della perdita di chance occupazionali e della lesione della dignità personale e professionale.
La sentenza è stata ora confermata in appello: la Sezione Lavoro della Corte di Appello di Firenze ha ritenuto corretta la ricostruzione operata in primo grado e ha ribadito la natura discriminatoria della mancata sottoscrizione del contratto di lavoro.
In attesa delle motivazioni integrali, gli avvocati Barletta e Mancini hanno espresso soddisfazione per l’esito del giudizio: «La decisione restituisce dignità a una donna che ha avuto la sola ‘colpa’ di essere madre. È un segnale importante contro ogni forma di discriminazione nei luoghi di lavoro, soprattutto quando a farne le spese sono le donne».
Il caso, pur avendo avuto luogo in Toscana, ha avuto eco anche in Molise, regione d’origine della protagonista e in cui si avverte forte il tema della parità di genere nel lavoro pubblico e privato. In molti, tra associazioni, sindacati e rappresentanti politici, hanno espresso solidarietà alla giovane lavoratrice e apprezzamento per la sentenza.
Una vicenda che accende i riflettori su un fenomeno ancora troppo diffuso, spesso sommerso: la penalizzazione delle donne nel mondo del lavoro a causa della maternità. Una realtà contro la quale – come dimostra questo caso – è possibile e doveroso opporsi, anche nelle aule di giustizia.
«Essere madri non può e non deve mai diventare un ostacolo all’ingresso nel mondo del lavoro – hanno concluso i legali –. Oggi, almeno in parte, è stata fatta giustizia».

ppm

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