Una celebrazione sentita quella di oggi in cattedrale per il 70esimo anniversario del sacrifico di monsignor Secondo Bologna, vescovo di Campobasso dal 1940 al 1943 quando il 10 ottobre una bomba degli alleati canadesi per errore colpì il vescovo mentre recitava il rosario nella cappella del seminario. Alla commemorazione le autorità civili e militari, associazioni laicali diocesane, tanti fedeli, e per la prima volta una delegazione di tre sacerdoti inviati dal vescovo di Cuneo in sua rappresentanza. “Un cuore ferito di amore – ha detto monsignor Bregantini che ha presieduto la celebrazione in cattedrale insieme ai presbiteri della diocesi – un cuore che sempre si era modellato sul cuore stesso di Gesù, in una lunga pratica di spiritualità che poneva nella devozione al sacro cuore il vertice di uno stile di dono e di immolazione. Questa è stata la sua forza, la sua risorsa spirituale. Quella fornace di amore l’ha costantemente alimentato. si rallegrò moltissimo, per aver incontrato subito a Campobasso proprio la chiesa del Sacro Cuore come chiesa di sua prima accoglienza, nel cammino verso la cattedrale. Ed ora, ripresa con dolcezza proprio nella cappellino del Sacro Cuore, nella cattedrale, dove la lapide riporta la sua grande frase dell’immolazione. Che sigilla tutta la sua vita di prete e di vescovo”. In conclusione il vescovo Bregantini ha fatto un forte riferimento a fra Immacolato Brienza. Servo di Dio segnato dalla malattia per 54 anni. “Due volti che si coniugano perfettamente per narrare i volti che segnano la storia di fede di Campobasso – un santo ne fa un altro. Ecco perché è bello narrare oggi dell’amicizia tra il vescovo e fra Immacolato, che emerge sia dalle sue lettere che dalle testimonianze dei tanti amici suoi ancora viventi. Si corre insieme sulle strade del Paradiso. Per cui va sempre ringraziato chi corre di più, chi è svelto, chi apre strade nuove e percorre la direttissima per le cime delle Dolomiti, mons. Bologna e fra Immacolato erano uniti nella stessa speranza di cambiamento della diocesi”. Alla fine della celebrazione è stata esposta per la prima volta la teca contenente l’amitto che avvolse il capo di monsignor Bologna “che è giunto fino ad oggi grazie alle mani che hanno custodito e valorizzato la reliquia del sangue”.