“Io avevo 30 anni, lui appena 26, io ero un giovane magistrato, lui, Giancarlo Siani, un giovane giornalista. La sua morte mi colpì moltissimo”. Quell’orrendo omicidio di camorra il procuratore Armando D’Alterio lo racconta come fosse successo ieri. Stamattina è stato lui l’ospite dell’incontro organizzato all’Università dall’Ordine dei giornalisti del Molise.
Del cronista del Mattino di Napoli, che aveva raccontato nei suoi articoli la malavita e i legami con la politica, D’Alterio ha un ricordo limpido, affettuoso: “Faceva bene il suo mestiere, era un giornalista che aveva fatto una scelta precisa e che non scendeva a compromessi. Si vedeva spessissimo in Procura tanto che in un primo momento ho pensato fosse un militare, un rappresentante delle forze dell’ordine. Poi capii che era un giornalista, che andava in fondo alle cose. Combatteva la camorra facendo informazione e io la combattevo con l’azione investigativa”. Articoli pungenti quelli di Giancarlo Siani, che scavavano in una realtà malavitosa che invece voleva rimanere sommersa. Denunce pesanti le sue che portarono la camorra a volersi sbarazzare del giornalista. Era il 23 settembre del 1985, Giancarlo Siani era arrivato sotto casa, al Vomero, era ancora sulla sua mitica Citroen quando venne raggiunto da dieci colpi. Gli assassini scapparaono in moto. Ma per scoprire gli esecutori materiali dell’omicidio ci sono voluti dodici anni e le rivelazioni di tre pentiti. Toccò a D’Alterio riaprire le indagini che permisero di inchiodare i colpevoli: mandanti ed esecutori dell’assassinio. Ma Siani ha commesso qualche errore durante la sua attività? “Se la criminalità uccide un giornalista vuol dire che per loro si tratta di un omicidio utile, ma quando la stampa si espone in questo modo vuol dire che le istituzioni hanno fallito. No, Siani non ha commesso errori, è stato un uomo che ha fatto fino in fondo il suo lavoro”.