Il suo è stato uno dei primi casi di Covid 19 registrato in città.
Flavio, 37enne del capoluogo, è un responsabile commerciale nel mondo del vino. Gira tutt’Italia e rientra spesso a Campobasso, città in cui è cresciuto e dove vive la sua famiglia, anche per lavoro. Persona estroversa, intraprendente e carismatica. Chi lo conosce sa che non si ferma mai davanti ad un ostacolo. E non lo ha fatto nemmeno stavolta, di fronte ad una malattia che oggi, purtroppo, sta segnando le sorti di tante persone.
Quando hai realizzato di aver contratto il virus?
«Ho avvertito una sensazione strana. Non saprei descriverla. È stato come se sapessi di averlo. Poi con il tampone, ahimè, ne ho avuto conferma».
A chi ti sei rivolto?
«Premetto che sono responsabile commerciale e che viaggio per lavoro. Ero stato in Piemonte ed Emilia nelle settimane precedenti e come è uscita la normativa regionale, il 7 marzo, mi sono subito messo in autoisolamento senza sapere se avessi il virus o meno. Ho avvisato l’Asrem e il medico di base. Sono residente a Bologna ma torno in Molise nel weekend per un bacio ai miei cari che ancora oggi non posso riabbracciare. Così ho preso un appartamento in fitto. L’8 mi è salita la febbre e non è scesa fino al 17 marzo. La tosse aumentava. Il 14 ho contattato il 118 e il 15 mi hanno ricoverato».
Qual è stata la prima cosa che hai provato?
«Ero in ospedale, malattie infettive, stanza d’isolamento 3. Basta questo per sentirsi giù. Attendevo la risposta del tampone che non sapevo quando sarebbe arrivata. Credevo il test dovesse verificarlo lo Spallanzani ma al Cardarelli stesso mi han dato risposta entro 12 ore. Speravo di non avere niente. Poi, però, la dottoressa, senza mezzi termini, mi ha detto: “Lei è positivo!”. “Come positivo?”, ho pensato. Non volevo crederci. Poi lo sconforto e la consapevolezza di ciò che mi stava accadendo».
Come hai vissuto quei giorni in reparto?
«In isolamento non è facile. Non puoi incontrare nessuno. Non saprei neanche descrivere i medici e gli infermieri visto che avevano tute e mascherine simili a scafandri. Nessun contatto con loro. In caso di problemi avevo un numero da chiamare e comunicavamo tramite citofono.
Non sapevo chi fosse nelle altre stanze, ricordo che entrò una signora di 84 anni. Appresi dai giornali che, due giorni dopo, uscì… ‘libera’ dal virus».
Come hanno reagito i tuoi familiari e i tuoi amici alla notizia?
«Mia madre fa ‘ansia’ di secondo nome – spiega con ironia – quindi gliel’ho detto 2 giorni dopo indorandole la pillola. I miei amici l’hanno appreso dai giornali e da facebook. La notizia ha viaggiato rapida. Ad ogni modo chiaramente nessuno si aspettava tale risultato positivo e devo dire che ho ricevuto tantissime manifestazioni d’affetto e colgo qui l’occasione per ringraziare tutti».
Una scena, un’immagine, una frase che ti rimarrà impressa di questa esperienza.
«Nel reparto malattie infettive c’è un area interna dove, per entrare, ci sono due porte a pressione ed una camera dove ci si cambia per indossare i dovuti indumenti protettivi. Poi si entra in isolamento. Ecco, l’ingresso in quell’area e l’immagine della signora che entrò poco dopo di me per poi morire… beh non lo dimenticherò facilmente. Di questa esperienza mi rimane l’affetto delle persone care e di quelle che non ti aspetti ma a distanza, in silenzio, ti vogliono bene e nel momento del bisogno escono fuori riempiendoti il cuore di gioia».
Quando ti hanno detto che ti avrebbero dimesso, cosa hai provato?
«Purtroppo non sono ancora guarito. La prossima settimana farò 2 test a distanza di 24 ore l’uno dall’altro e se entrambi saranno negativi potrò dirmi fuori pericolo. Ci sono vari ceppi di questo virus e mi ritengo fortunato di averne preso uno che non ha intaccato la saturazione polmonare. Quindi mi hanno dimesso prima di altri casi più virulenti. Sono stato felice di andar via dal reparto ma consapevole di dover affrontare una ennesima quarantena. In effetti sono fermo dal 7 marzo e ne avrò fino al 6 aprile. Un po’ come tutti… cerco di resistere».
Cosa consigli ai tuoi concittadini, in particolare ai più giovani?
«Sicuramente di restare a casa e seguire le direttive delle istituzioni che sono particolarmente attente e vigili ad ogni singolo caso. A proposito, colgo l’occasione per ringraziare il sindaco che, da buon primo cittadino, mi ha contattato per sincerarsi della mia condizione.
Ai più giovani consiglio di fare tesoro di questi giorni. Sapranno loro evincere quali sono le soluzioni che l’umanità dovrà applicare per evitare casi futuri».
Qual è la prima cosa che vorresti fare quando tutto questo sarà finito?
«Riabbracciare i miei genitori. Essendo over 65 non sono mai entrato in contatto con loro e così attendo, trepidante, il momento di un abbraccio liberatorio, di pace, di ricongiunzione. E poi… quando tutto sarà finito non vedo l’ora di fare una gran festa in compagnia degli amici più veri, alzare i calici per chi nn ce l’ha fatta e brindare ancora all’amore e alla fratellanza».
Serena Lastoria

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