In quel lungo e triste elenco – che gronda dolore e rabbia – composto da nomi e cognomi, date e luoghi dove le tragedie si sono compiute, la molisana Romina De Cesare è la diciottesima vittima di femminicidio del 2022.
Quasi sette mesi fa, quattordici coltellate hanno fermato per sempre il suo tempo. Prima che potesse cominciare una vita nuova accanto ad un amore nuovo, prima che potesse riabbracciare l’amato papà, prima che potesse telefonare al fratello e all’amica del cuore in Francia, prima che potesse tornare nella sua Cerro.
Prima di qualsiasi cosa avesse voluto, potuto e dovuto fare: un viaggio, una gita fuori porta, un po’ di shopping, una passeggiata, un taglio di capelli diverso dal solito.
Quattordici coltellate. E la mano che ha sferrato i fendenti è quella dell’uomo con il quale Romina aveva trascorso anni di certo felici, fatti di un amore che era cresciuto con lei e che poi era lentamente diventato affetto. Anche comprensione del dolore altrui, al punto che Romina ha continuato a vivere assieme a quell’uomo che è diventato, in una notte di inizio maggio, il suo assassino.
Romina, oggi ma non solo oggi, è il simbolo di una guerra quotidiana che fa morti e feriti, raccontata attraverso storie sempre simili e immagini che affollano le cronache e che, nel giro di qualche ora, cambiano solo nelle fattezze del viso. Perché, in un altro luogo, in un’altra casa, un’altra donna ha perso la vita per mano di un uomo che non sopportava di perderla per sempre, che viveva l’amore come ossessione. Che non ha esitato ad uccidere pur di non vederla andare via.
Centoquattro donne in 11 mesi. C’è anche la nostra Romina, suo malgrado un monito rivolto sia alle donne che vivono storie difficili e di violenza e sia agli uomini che non accettano la fine di un amore. Il suo nome, qualche giorno fa, è risuonato nell’aula di Montecitorio, nel corso dell’intervento della deputata isernina Elisabetta Lancellotta in occasione della discussione sulle mozioni inerenti all’eliminazione della violenza contro le donne.
Il nome, la storia, l’epilogo. Ma è il condizionale il tempo verbale delle vittime di femminicidio. Lo è anche per Romina.
Perché sarebbe bastata qualche ora e avrebbe lasciato quella casa dove ha trovato la morte, qualche ora e avrebbe sciolto quel legame con il suo assassino – Pietro Ialongo, reo confesso, a processo con giudizio immediato il prossimo 2 febbraio con le accuse di omicidio aggravato dalla coabitazione e stalking -, qualche ora e avrebbe fatto ritorno a casa, avrebbe riabbracciato il papà e avrebbe affrontato la sua nuova vita con il suo nuovo amore.
Oggi Romina è seduta sulla panchina rossa, con i capelli sciolti e lo sguardo mite. No, non doveva andare così. Non dovrà andare mai più così.
lucia sammartino