Quattromila pagine, riscontri precisi e puntuali, la ricostruzione di quegli attimi – pochi, rabbiosi e feroci, che hanno portato esattamente 7 mesi fa al femminicidio di Romina De Cesare – è tutta in quei faldoni che raccontano l’orrore.
Oggi, nel piccolo paese dove Romina ha vissuto e dove sopravvivono, piegati dal dolore, il suo papà Mario, il fratello, i familiari, gli amici di un tempo, chi la vedeva passare sorridente e felice, sarà inaugurata una panchina rossa. Per chi non c’è più, per chi con coraggio resiste alla violenza, per quelle donne che scelgono di denunciare. Per Romina, figlia di quella comunità.
Il prossimo 6 dicembre, papà Mario e l’avvocato Danilo Leva al quale ha deciso di rivolgersi per farsi assistere nella fase giudiziaria e in quella processuale (il fratello ha scelto di affidarsi al collega dello studio Leva, Fiore Di Ciuccio, ndr) saranno ospiti della trasmissione della Rai ‘I fatti vostri’. Per la prima volta, quell’uomo al quale la vita ha strappato via con violenza prima la moglie e poi la figlia, racconterà chi era Romina, il contesto nel quale è maturato il suo omicidio, cosa si aspetta dal processo che partirà il 2 febbraio in Corte d’Assise al Tribunale di Frosinone.
Giudizio immediato per Piero Ialongo, l’ex fidanzato. L’assassino.
Omicidio pluriaggravato dalla coabitazione e dallo stalking l’accusa della quale risponderà. Davanti alla Giustizia e, chissà, anche davanti alla sua coscienza.
«Mi colpisce ancora oggi la dignità del papà di Romina – confessa l’avvocato Danilo Leva che assiste Mario dal primo giorno e che sarà con lui, negli studi televisivi, per dargli forza -. Una persona che non è mai andata oltre le righe nonostante la tragedia che ha vissuto, sta vivendo e vivrà per sempre. Una figlia, uccisa… La sua compostezza, quel dolore straziante che vive quotidianamente. Un uomo che chiede alla giustizia una risposta al suo dolore. Banalmente, forse. Come invece non è stato banale il male che l’imputato dell’omicidio ha inferto a Romina».
Un delitto, anzi un femmicidio, maturato in un contesto purtroppo tragicamente sempre uguale in fatti come questi. Cosa ha pensato quando le è stato affidato l’incarico, quando il film dell’orrore ha cominciato a dipanarsi sotto i suoi occhi?
«Il capo di imputazione è molto serio – riflette l’avvocato Danilo Leva che, fino ad oggi, non ha mai voluto affrontare mediaticamente la vicenda -, le indagini sono state veloci ma molto articolate e puntuali. Il quadro probatorio è chiaro, motivo per il quale la Procura ha chiesto ed ottenuto il giudizio immediato, saltando la fase dell’udienza preliminare. Un impianto solido, a mio avviso. Ma, al di là dell’aspetto prettamente tecnico, ho avvertito con chiarezza, nell’affrontare il fascicolo, come Romina fosse considerata una cosa di proprietà. Mi chiedo come sia possibile pensare di potersi rapportare con una persona, per la quale nutri dei sentimenti di amore, con questo approccio. In quale contesto culturale è maturata questa modalità di immaginare i rapporti interpersonali, di costruire un legame che viene chiamato amore? È questo un aspetto della vicenda che è emerso dallo studio degli atti processuali, che ha definito rapporti, le modalità con le quali interagire, che ha costruito poi il gesto finale».
Quattordici coltellate, inferte nella notte tra il 2 e il 3 maggio scorsi, nell’ingresso dell’appartamento di via del Plebiscito a Frosinone dove Romina e Pietro Ialongo – l’omicida – vivevano ancora insieme.
Di lì a qualche ora, Romina sarebbe partita per tornare a Cerro, dal papà. Si erano sentiti poco prima delle 16 del pomeriggio del due maggio. «Torno domani» gli aveva detto quella figlia, le ultime parole prima di finire inghiottita dall’orrore.
Quattordici coltellate, inferte in rapida sequenza. Quella mano armata dalla rabbia, dalla violenza. Un gesto che racconta, per le modalità con le quali è stato compiuto, quel contesto che ha profondamente scosso il legale.
Avvocato, nella ricostruzione dell’omicidio di Romina De Cesare e attraverso le prove, da quello che è stato possibile sapere, sarebbe emersa l’escalation nei comportamenti violenti di Ialongo. Fin da qualche giorno prima del femminicidio.
«Sono i testimoni a raccontare l’ultima settimana di vita di Romina – spiega Danilo Leva – e l’escalation micidiale che ha portato all’omicidio. Condotte che hanno alzato, giorno dopo giorno, l’asticella di quel concetto di ‘proprietà’ di cui parlavo prima. Non è più mia, allora non deve essere di nessun altro.
Pedinamenti, umiliazioni, comportamenti oppressivi, violenza psicologica e poi il gesto finale che, nelle modalità con le quali è stato compiuto, racconta tutto questo. In quei sette giorni è maturata ancor di più quell’idea di possesso che è poi culminata con l’omicidio».
Romina viveva ancora con Pietro, possibile che non abbia colto quello che stava accadendo?
«Non è così – puntualizza l’avvocato Leva – perché come siano cambiati i rapporti in quei giorni viene evidenziato dai testimoni ascoltati in fase di indagine. Si rileva come, a ridosso del giorno dell’omicidio, i rapporti con Ialongo fossero molto diversi, più tesi, da quelli che invece i due avevano fino a qualche giorno prima.
Romina voleva andare via: lo conferma il fatto che aveva espressamente richiesto alla proprietaria dell’appartamento di Frosinone se ne avesse un altro da affittare. E aveva deciso di lasciare quella casa, aveva telefonato al padre per avvisarlo che sarebbe rientrata a Cerro. Poi ci sono altri aspetti importanti sui quali preferisco evitare di addentrarmi. Ma che saranno opportunamente vagliati nel corso del processo».
Un omicidio brutale, durato pochi secondi, arrivato al culmine di quella settimana di escalation. I risultati dell’autopsia sono ovviamente fra le prove del processo a carico di Ialongo. Quattordici coltellate ravvicinate, veloci e sferrate con violenza: una decina hanno colpito Romina tra addome e torace, altri segni di quella lama assassina sulle braccia, forse il tentativo disperato di difendersi. Una al cuore, quella mortale. E poi…
«E poi, come racconta la perizia che è fra le prove e riguarda la ricostruzione dell’omicidio, Ialongo si è lavato le mani in bagno ed è uscito di casa frettolosamente, senza nemmeno cambiarsi d’abito. Ripeto: il quadro probatorio è chiarissimo, lo è anche rispetto a quella che viene identificata come la confessione. Ma di più, davvero, preferisco non dire».
Quattromila pagine nelle quali si racconta l’ultimo scorcio di una vita, quella della 36enne Romina De Cesare, spezzata dall’ex compagno.
Due figli di una stessa comunità, Cerro al Volturno. Due famiglie che si conoscevano da tempo, che avranno di certo avuto rapporti cordiali fino a quel maledetto giorno. E chissà se, in questi sette mesi, quelle due famiglie non abbiano avuto occasione di incontrarsi. Chissà se i genitori di Pietro non abbiano chiesto a papà Mario perdono per quel loro figlio, per l’atto brutale e mostruoso di cui si è macchiato.
Faldoni che contengono le testimonianze rese da più di una dozzina di persone che hanno raccontato quel rapporto d’amore che piano piano è finito, come può capitare con i sentimenti. E che è culminato in una tragedia, come accade ormai troppo spesso.
Testimoni che hanno fornito riscontri in merito all’atteggiamento e ai comportamenti di Ialongo, che hanno raccontato quei sette giorni nei quali è maturato l’omicidio.
E poi le intercettazioni, ambientali e telefoniche. Non solo la registrazione dell’ultimo litigio, quella degli studenti cinesi che loro malgrado hanno ‘assistito’, senza vederlo, all’omicidio. C’è altro, molto altro. Il 2 febbraio la prima udienza: dopo gli adempimenti formali, probabilmente il pm chiederà la trascrizione di quei colloqui intercettati dagli inquirenti che potrebbero rivelarsi davvero importanti per rafforzare il quadro delle prove.
Meno di due mesi e inizierà il processo che dovrà fare giustizia.
Per Romina, per quel dolore sordo e incessante che avvertono da sette mesi il papà e il fratello. E che, è destino, non sparirà mai.
lucia sammartino