Pierluigi Giorgio
“Lo incontrai dove le strade s’incrociavano, un uomo con mantello e bastone e nient’altro, e un velo di pena sul volto. E ci salutammo e gli dissi: «Vieni nella mia casa, sii mio ospite!». E lui venne… Mia moglie e i miei figli si fecero incontro a noi sulla soglia, e lui sorrise, e a loro piacque che fosse venuto.
Sedemmo tutti a tavola e gli facemmo festa, perché c’era in lui silenzio e mistero.
E dopo cena ci radunammo intorno al fuoco e io gli chiesi di parlare dei suoi vagabondaggi. Molte storie ci raccontò quella notte e anche il giorno seguente, ma quelle che ora riferisco nascevano dall’amarezza dei suoi giorni nonostante la sua benevolenza e sono storie di polvere e pazienza, sono le storie delle sue strade.
E quando se ne andò, dopo tre giorni, non ci parve che fosse partito un ospite ma piuttosto che uno di noi fosse rimasto in giardino e dovesse ancora rientrare». (da “Il Vagabondo” di Kalil Gibran)
Nella sua famosissima canzone “Blowin’ in the wind” Bob Dylan canta: «Quante strade deve percorrere un uomo prima di essere chiamato uomo?… La risposta, amico mio, se ne va nel vento; la risposta soffia nel vento!».
E quanti “passi” deve percorrere un pastore, prima di essere considerato un grande pastore? Prima di affrontare la sua ultima transumanza e far in modo che tutti si accorgano soprattutto che è stato un Uomo?…
Anche Daniele Berlingieri se n’è andato fra le nuvole, dopo zì Felice Colantuono, dopo Antonio Innamorato. E lo ha fatto nel pieno del vigore dei suoi 48 anni soltanto! Qualcuno ha detto che quando un pastore muore lascia due famiglie: quella umana e quella dei suoi animali e non si sa a chi più è legata. Felice Colantuono allettato e morente disse ai figli: «Che fate qua? Andate ad accudire quelle povere vaccarelle che sono rimaste sole e hanno bisogno di voi!».
Daniele Berlingieri, prima che l’ultimo lancinante infarto lo facesse crollare a terra, nonostante i segnali di una settimana, non volle andare in ospedale, probabilmente nel timore di essere lì bloccato, quando gli ovini al mattino avevano bisogno di essere munti e portati al pascolo. Un’alba che non vide mai…
Ci lasciano una grande eredità ed un esempio per i giovani, loro che non passavano il tempo al bar tra diritto di cittadinanza e pensioni dei familiari: tanto meno mai emigrarono in altra terra sotto altri padroni. Nonostante lo Stato, il Governo regionale, non li aiutino più di tanto e continuino a gravarli di tasse su tasse come le ultime “gabelle” sull’aumento insostenibile dell’affitto dei tratturi; tratturi che solo gli animali tengono puliti con il loro scalpiccio e il brucare, salvaguardandoli, dando la possibilità agli escursionisti di percorrerli, al di là degli striscioni pubblicitari nelle stazioni d’Italia e i progetti, le offerte sbandierate in discutibili video-spot turistici o in puntuali convegni del “Bla! Bla! Bla!”.
E intanto i tratturi muoiono e i pochi coraggiosi pastori diventano sempre meno nel loro lavoro di equilibrismo sul filo sospeso di un’economia familiare.
Mario Borraro, pastore per scelta dopo essere stato istruttore remunerato di parapendio e deltaplano in America, aver abbandonato in Italia un posto sicuro in banca dopo soli quattro mesi e aver acquistato un gregge che gestisce con passione, difficoltà giornaliere e senza riposo con la moglie Carmela e il figlio Pietro, ha scritto: «Quando muore un pastore, quando si spegne una lucina nel suo ovile, il territorio è in pericolo; perde la sua sentinella! Cominciano a crescere i rovi, poi arrivano gli incendi, seguono le frane».
Rivolgendosi infine alla compagna di Berlingieri, Maria: «Ti siamo vicini Maria. Sarebbe bello che questo sogno antico continuasse in qualche modo. Non è facile. Non era semplice neanche prima».
Già! La tradizione, la “storia”, la speranza su basi concrete!
Ora un’azienda di circa 300 pecore potrebbe chiudere. Ma Maria non è sola. Nonostante il dolore, lo stordimento, Maria è forte!
Daniele non era un semplice pastore ma una persona che aveva elevato, da pratico studioso, la valenza della sua razza ovina ad alti livelli di genetica, riconosciuta in ambito nazionale e non solo! Pur nella umana malinconia, sono comunque contento di aver girato l’anno scorso un documentario – “La Via del Canto” –, dove lui è protagonista e accompagnandolo insieme a centinaia di persone nell’ultima dimora terrena, ho sentito di dedicare a lui, alla sua famiglia, la poesia di uno sconosciuto autore gitano:
«Dov’è il mio cuore oggi?
In che persona, luogo o occupazione?
Se Dio mi desse il potere di essere ovunque
Sulla terra, dove andrei?
Dico addio alla mia casa sognata,
alla mia sposa, alla cara mamma,
ai miei fratelli, sorelle…
assumendomi la responsabilità di aver dato dolore…
di essere andato via;
anche se queste montagne, il nido grazioso
m’invitano a fermarmi
invece di aprire le ali e volare…
Così spiego amorevolmente a ognuno di loro
che non posso fermarmi e scopro con gioia
che il Signore è qui accanto a dirmi
che se desidero esser libero,
devo sbarazzarmi della paura di camminare da solo.
Arriviamo ad una salita, il Signore ed io.
Mi volto a dare un ultimo sguardo
Alla montagna, alla mia casa lontana laggiù
e il mio cuore si gonfia di gratitudine e amore
alla vista del nido dove il destino
ha decretato che rimanessi
finché fossi stato abbastanza forte per volare…».