«No. Non mi ha mai chiesto perdono». Pesano come un macigno le parole di papà Mario, pronunciate con quel filo di voce ancora segnato dal dolore che lo lascia senza forze. Risponde così alla domanda che gli pone il suo avvocato, Danilo Leva (nella foto con il collega Di Ciuccio, ndr), nel corso della quarta udienza del processo per l’omicidio di sua figlia Romina De Cesare, ammazzata dall’ex fidanzato storico, reo confesso, Pietro Ialongo.
In questi tredici mesi d’inferno, dolore, rabbia e a volte rassegnazione, Mario non riceve mai un segnale. Pietro Ialongo non chiede di parlare con l’uomo al quale ha distrutto la vita, non chiede ai suoi genitori o agli avvocati di fargli sapere di essere pentito.
Non chiede scusa, non chiede perdono. Eppure Mario De Cesare non è un perfetto sconosciuto, lo ha visto crescere.
Romina e Pietro, fidanzati per una vita. Insieme di fronte alle difficoltà che ogni coppia vive nel quotidiano, alle avversità e ai dolori. Come quando Romina perde la giovane mamma. Pietro le è vicino, come è normale e giusto che sia. La sostiene, la consola, prova a farla distrarre.
Lei non dimentica, nemmeno quando l’amore finisce, nemmeno quando si lasciano. Riconosce come sia stata importante la sua presenza, in quel momento così difficile, doloroso. Pietro Ialongo è ancora parte della sua famiglia, lo sarà forse per sempre.
Ma in tredici mesi, tanti ne sono passati dal femminicidio, non ha mai chiesto perdono a Mario per quelle 14 coltellate che hanno strappato alla vita Romina.
Una donna dolce, dal carattere mite, con gli occhi chiari velati dalla tristezza. Comprensiva, sì, ma determinata nella decisione di voler proseguire il suo cammino di vita senza Pietro.
Nell’aula della Corte d’assise del Tribunale di Frosinone c’è anche il fratello di Romina, assistito dall’avvocato Fiore Di Ciuccio. C’è l’associazione Liberaluna Onlus – che si è costituita parte civile – con l’avvocato Maria Calabrese. Ci sono i genitori di Pietro Ialongo e c’è anche lui, imputato per omicidio aggravato dalla coabitazione e stalking, seduto accanto ai suoi avvocati Vincenzo Mercolino e Riccardo Di Vizio.
L’udienza si concentra sugli ultimi giorni di vita di Romina, sui comportamenti di Pietro che ha preso coscienza che non c’è più alcuna possibilità di recuperare quel rapporto, come invece lui avrebbe voluto. Il racconto è affidato alle parole dei testi chiamati a deporre dal pubblico ministero.
Romina che si appresta a lasciare la casa per tornare dal papà a Cerro al Volturno, dove Mario l’aspettava e dove non arriverà mai.
Romina che cerca un’altra casa in affitto, come conferma la proprietaria dell’appartamento dove la giovane ha trovato la morte, che riporta proprio le parole con le quali quella ragazza così educata descriveva la convivenza. Impossibile.
Romina che non avverte il pericolo negli atteggiamenti sempre più insistenti di Pietro.
Che non si accorge di quanto Pietro sia ossessionato dall’idea che lei possa rifarsi una vita, che si innamori di un altro uomo, che lasci per sempre – come avrebbe dovuto fare il giorno dopo il suo omicidio – quella casa dove hanno vissuto l’amore che ormai non c’è più.
Li ripercorre, quei giorni, Davide Cittadini, la guardia giurata conosciuta al supermercato dove Romina ha lavorato come cassiera. Lo ha fatto già per tre volte, sentito a sommarie informazioni dagli agenti della Squadra Mobile di Frosinone fin dal 3 maggio. Il giorno in cui nell’appartamento di via del Plebiscito viene trovato il corpo senza vita di Romina grazie proprio al suo ‘sesto senso’: sarà proprio Davide Cittadini a chiamare le forze dell’ordine, preoccupato dallo strano silenzio che durava da ore di Romina. Acquisite anche le testimonianze di chi, la mattina successiva al femminicidio, è sulla spiaggia di Sabaudia. Arrivano i Carabinieri: c’è un uomo nudo sulla spiaggia, la segnalazione al 112. È Pietro Ialongo che, si scoprirà solo dopo, raggiunge a bordo della sua auto il lungomare ma prima del viaggio verso Torre Paola lascia morire Romina sul pavimento dell’appartamento di via del Plebiscito, a due passi dalla Prefettura di Frosinone, dopo averla colpita con 14 coltellate.
Anche i genitori di Ialongo raccontano ai giudici di quel figlio che non avrebbe mai fatto emergere l’orrore di cui poi si è macchiato. Cinque anni fa un percorso psicologico per una sindrome depressiva, una cura che lo porta alla guarigione. Nessun segnale, dicono, di quello che poi accadrà nella notte fra il 2 e il 3 maggio. Ma, allora, la domanda che viene posta, come mai Pietro, che era dai genitori a Colli al Volturno qualche giorno prima dell’omicidio, riparte improvvisamente in piena notte per tornare a Frosinone senza avvisare? E perché, qualche ora prima del delitto, il papà di Pietro decide di andare a Frosinone, rimane persino a dormire nella stessa casa che il figlio ancora condivide con Romina? Il sentore di qualcosa che non andava? Solo la necessità di capire come stava nostro figlio, sapevamo che si erano lasciati, racconta la mamma.
Prossima udienza il 6 luglio, per completare la lista dei testi del pubblico ministero.
ls