Pizzone II non s’ha da fare: nessun margine di ‘trattativa’ per il Parco nazionale di Abruzzo, Lazio e Molise nonostante la ‘mano tesa’ dell’Enel che proprio a Castel San Vincenzo qualche giorno fa ha ribadito l’intenzione di continuare a ragionare con i territori e le istituzioni per trovare il modo migliore per contemperare le esigenze di tutti i soggetti coinvolti: quelli della società, che in nome della transizione ecologica, intende implementare la produzione di energia da idroelettrico e le zone a cavallo di Molise e Abruzzo che, in caso di realizzazione della centrale, vedrebbero compromesso il patrimonio ambientale e naturalistico e anche la forte e ormai consolidata vocazione turistica.
Il Parco nazionale di Abruzzo, Lazio e Molise ricorda di aver rappresentato il proprio parere negativo ad inizio settembre (nei termini per la presentazione delle osservazioni che scadevano il 7 del mese) con una nota trasmessa al ministero dell’Ambiente (dove era stata presentata l’istanza di Via e di incidenza, il cui iter è stato sospeso su richiesta dell’Enel per consentire nuove interlocuzioni con istituzioni, enti, associazioni e comitati di cittadini) e anche a tutti i soggetti interessati.
Nella nota, spiegano nuovamente dall’Ente Parco, «è stata comunicata l’assoluta improcedibilità dell’istanza, presentata da parte della società di produzione elettrica, per l’avvio del procedimento di valutazione di impatto ambientale del progetto. L’entità, i lavori previsti per la sua realizzazione e la stessa natura dell’opera proposta sono tali da rendere l’intero progetto assolutamente incompatibile con le esigenze di conservazione di una delle porzioni di territorio più pregiate e incontaminate del Parco».
Ovviamente, rimarcano, alla base del riscontro del Parco vi sono delle solide motivazioni giuridiche.
In primis, l’area interessata ricade nel Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, territorio sottoposto, ai sensi della legge 394/91 (legge quadro sulle aree protette), ad uno speciale regime di tutela allo scopo di perseguire, tra l’altro, la conservazione di specie animali e vegetali, di habitat, di singolarità geologiche, di formazioni paleontologiche, di comunità biologiche, di biotopi, di valori scenici e panoramici, di processi naturali, di equilibri idraulici e idrogeologici, di equilibri ecologici nonché la difesa e la ricostituzione degli equilibri idraulici (art. 1 L. 394/91). Tale destinazione, dunque, preclude ogni ipotesi di modificazione degli habitat dei loro equilibri indispensabili per la tutela di specie minacciate di estinzione.
In aggiunta, l’art. 11 della legge 394/91, al comma 3, stabilisce che nei Parchi, sono vietate le attività e le opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali. In particolare alla lettera c) sono vietati la modificazione del regime delle acque.
«La portata effettiva di tale divieto – spiegano i vertici del Pnalm – è stata chiarita dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n.19389 del 09/11/2012. Secondo la Suprema Corte tale norma impone, inequivocabilmente, nei Parchi, il divieto di tutte, indistintamente, le attività e le opere che possano comunque recare pregiudizio alla salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati. In particolare l’attività citata alla lettera c) – la modificazione del regime delle acque – è ritenuta direttamente inibita dalla legge, in quanto, ritenuta di per sé idonea a compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati e, di conseguenza, vietata già in astratto ed indipendentemente da ogni valutazione circa la pericolosità dell’opera oppure i relativi benefici. La volontà di vietare direttamente ogni modificazione del regime delle acque, si desume anche dalla lettura complessiva del citato comma 3, laddove la modificazione del regime delle acque è ricompresa tra le attività che sono vietate in termini assoluti, diversamente da quelle contemplate alle lettere d, f ed h, che lo sono, in senso relativo, ovvero “se non autorizzate” dall’Ente Parco. Sempre nella medesima sentenza della Suprema Corte, si asserisce come essendo la finalità della legge sulle aree protette dichiaratamente quella di garantire e promuovere, in attuazione degli art. 9 e 32 della Costituzione nel rispetto degli accordi internazionali, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del Paese, nei territori dei Parchi Nazionali, la tutela dell’ambiente è di rilievo preminente su qualsiasi altro interesse, anche di primaria importanza».
Insomma, Pizzone II non s’ha da fare e, soprattutto, non si può fare.
«Alla luce di quanto rappresentato, anche formalmente – commenta il presidente del Parco, Giovanni Cannata – non ci resta che ribadire, visto lo stato attuale delle problematiche ambientali, che urge sempre più dare senso pieno e dignità alla parola sostenibilità, intendendola nella sua accezione più forte e olistica, senza previsione alcuna della piena sostituibilità tra capitali ambientale, economico e sociale. Un risultato al quale è possibile dare seguito solamente attraverso decisioni nette e azioni programmatiche chiare»