Il melanoma cutaneo, malattia spesso sottovalutata o poco conosciuta, rappresenta il 9 per cento dei tumori giovanili negli uomini e il 7 per cento nelle donne. Deriva dalla trasformazione tumorale dei melanociti, alcune delle cellule che formano la pelle.
Se trattato tempestivamente è quasi sempre curabile. In caso contrario può diffondersi ad altre parti dell’organismo, come fegato, polmoni, ossa e cervello.
Negli anni la ricerca in questo campo continua a fare passi da gigante. Ne è un esempio quanto avvenuto venerdì scorso all’Istituto dei tumori Pascale di Napoli dove, per la prima volta in Italia, è stato somministrato il vaccino anticancro a mRNA di Moderna per la cura del melanoma ad un paziente molisano: si chiama Alfredo De Renzis, ha 71 anni ed è un medico di base. È di Capracotta ma vive a Carovilli, dove per anni ha svolto la professione. È sposato e ha due figli. Dallo scorso settembre è in cura dall’oncologo Paolo Ascierto dell’Irrcs partenopeo. Sta rientrando da Napoli quando lo contattiamo.
Dottor De Renzis nel luglio 2021 fa ha scoperto che dietro a una neoformazione cutanea si nascondeva un melanoma. Come ha reagito a questa notizia?
«Essendo medico non positiva. Non nascondo di aver avuto un po’ di timore. Ho subito contattato un chirurgo di Isernia, un mio caro amico, il dottore Pastena, che ha asportato questo “linfonodo sentinella” per poi esaminarlo istologicamente. Dall’esame è venuto fuori che si trattava di un melanoma pT4, un tumore piuttosto aggressivo. Per due anni non ho fatto niente perché il linfonodo era negativo. Successivamente, sottoponendomi a controlli di routine, è venuto fuori che c’era un linfonodo ingrossato all’inguine e la pet ha rilevato che poteva trattarsi di una recidiva, diagnosi confermata dall’esame istologico. Quando mi sono rivolto al Pascale di Napoli mi hanno dunque proposto sia l’immunoterapia, sia questa terapia innovativa sperimentale costituita dal vaccino a mRNA.
Ha mai avuto timore di accettare di sottoporsi al vaccino? Lo chiedo al paziente ma anche all’uomo di scienza.
«Un po’ di timore c’è sempre. Poi, però, confrontandomi con il professore Ascierto mi sono tranquillizzato. Mi ha subito rassicurato confermandomi che i primi dati erano molto incoraggianti e che valeva la pena andare avanti».
Lei è stato il primo paziente in assoluto a livello nazionale a prendere parte alla fase III del vaccino, l’ultima fase dei test prima della sua approvazione. L’Italia infatti è stata esclusa dalle prime due fasi. Quali sono le aspettative rispetto a questo vaccino?
«Sicuramente di migliorare la condizione del melanoma. In sostanza andrebbe ad evitare che nell’80 per cento dei casi si presenti una recidiva. Il ché è tanto in termini di risposta terapeutica».
È vero che questo tipo di vaccino è “personalizzato” in base al paziente?
«È un procedimento che viene eseguito in America. Sul materiale asportato si identificano 30-35 proteine sulla base delle quali realizzano il vaccino. Quindi ogni singolo individuo ha un vaccino diverso in base alle caratteristiche istologiche della neoplasia. Ho dovuto aspettare un po’ prima di procedere al vaccino proprio per questo motivo».
Perché secondo lei oggi, specialmente dopo l’esperienza della pandemia, c’è ancora tanta reticenza nel vaccinarsi?
«In veste di medico dico che è una cosa negativa. C’è stata probabilmente disinformazione sui vaccini. Hanno esaltato troppo gli effetti collaterali o hanno attribuito erroneamente alcuni effetti collaterali ai vaccini stessi».
Un augurio che rivolge a se stesso e a chi affronta questo tipo di malattia.
«Sono abbastanza fiducioso. Spero davvero che sia efficace e promettente come dicono. Ma per saperlo bisognerà attendere qualche anno».
sl