Ventiquattro anni di reclusione: è arrivata poco prima delle 16 di ieri pomeriggio, al termine della camera di consiglio seguita all’ultima udienza del processo in corte d’assise per l’omicidio di Romina De Cesare, la sentenza di condanna per Pietro Ialongo, il 39enne di Cerro al Volturno, rinchiuso dal giorno in cui ha confessato di aver ucciso l’ex fidanzata con 14 coltellate nella notte tra il 2 e il 3 maggio del 2022. Un anno in più, dunque, rispetto alla pena richiesta dal pubblico ministero Vittorio Misiti al termine della sua requisitoria. Ialongo era accusato di omicidio aggravato dalla coabitazione e stalking.
Il pm ha riconosciuto le aggravanti degli atti persecutori e della coabitazione ma anche le attenuanti generiche: Ialongo si sarebbe mostrato collaborativo, indirizzando le indagini con la sua confessione. Resa pienamente, però, quando gli è stato comunicato, nella caserma dei Carabinieri di Latina, che Romina era stata trovata senza vita. «Non volevo, io la amo» la sua prima confessione scritta a mano su un bigliettino che aveva con sé quando i Carabinieri di Latina lo avevano fermato, seminudo e in stato confusionale, sulla spiaggia di Sabaudia. In quei concitati minuti, nessuno sapeva che Ialongo aveva ucciso qualche ora prima la sua ex fidanzata.
Nell’aula del Tribunale di Frosinone, ieri, anche il papà di Romina, Mario, insieme allo zio e al fratello della 36enne, tornato appositamente dalla Francia – dove vive – per seguire l’ultima udienza del processo a carico dell’assassino dell’amata sorella, oltre naturalmente ai legali Danilo Leva e Fiore Di Ciuccio che hanno chiesto una pena adeguata, e l’avvocato Maria Calabrese per l’associazione Liberaluna, parte civile nel processo: Romina, infatti, è purtroppo l’ennesima vittima di una relazione di potere e sopraffazione tipica dei femminicidi.
A seguire il processo, tra i banchi, anche i genitori di Ialongo che ha assistito, invece, dalla cella di sicurezza, anche stavolta senza mostrare alcun segno di pentimento. La sua difesa, come è noto, era affidata ai legali Vincenzo Mercolino e Riccardo Di Vizio del foro di Cassino.
Anche nel corso dell’ultimo atto di quest’atroce vicenda, nell’aula di Tribunale e nello sguardo dei familiari di Romina, è vibrato ancora il dolore per quell’immane perdita: una figlia, una nipote, una sorella che è stata strappata via dall’abbraccio dei suoi cari quella maledetta notte di maggio, nella casa di via Plebiscito in cui conviveva col suo carnefice e in cui sono bastati appena 10 minuti per consumare l’atroce delitto. I 10 minuti più lunghi per Romina, che in quella casa è entrata per l’ultima volta alle 0.27 di notte, ignara di ciò che sarebbe accaduto di lì a poco.
A sentire nitidamente le grida, alcuni vicini di casa, degli studenti cinesi ascoltati durante l’incidente probatorio.
Motivo di quell’ultima lite, fatale per Romina, la macchina intestata alla giovane, un’Audi A4 a bordo della quale sarebbe inizialmente scappato Ialongo dopo essersi lavato le mani sporche di sangue in bagno – dove sono state rinvenute dal Ris delle tracce ematiche – e prima di essere intercettata alle 3 di quella notte presso un distributore.
L’ultima lite, appunto. Perché Romina «aveva delle questioni da risolvere», disse a qualche collega di lavoro comunicando che non sarebbe più andata. Voleva andare via da quella casa. Ma nessuno sapeva.
Ialongo la pedinava, la inondava di messaggi – pochi giorni prima dell’omicidio ne inviò persino 218 -, l’aspettava sveglio per colpevolizzarla e una notte la filmò mentre dormiva sul divano, coprendola di insulti.
Secondo il racconto che lo stesso assassino avrebbe fatto al dottor Peppino Nicolucci, consulente del Tribunale escusso per la consulenza psichiatrica, il femminicidio sarebbe maturato al termine di una lite avvenuta per motivi economici ma l’assassino sapeva quello che stava facendo. Quella sera Ialongo avrebbe chiesto a Romina la restituzione di una somma di denaro utilizzata per l’acquisto dell’Audi. Un diverbio che diventa lite, poi il tentativo di strangolarla e infine le 14 coltellate.
Nella sua consulenza, il dottor Nicolucci aveva evidenziato l’ossessione di Ialongo che, nel rapporto con Romina, si sarebbe manifestata negli atteggiamenti di possesso, in una gelosia straripante. Ma lo stesso consulente avrebbe anche chiarito come questa personalità ossessivo-narcisistica sia la conseguenza di una “estrema attenzione” che Ialongo avrebbe riposto negli anni sul proprio stato fisico, conseguente agli esiti di un incidente stradale in cui è rimasto coinvolto parecchi anni fa. Così, il rapporto con Romina si è logorato, è diventato ossessione, controllo, e da lì si è innescata la miccia della gelosia verso quella ragazza, dallo sguardo dolce, che nonostante le difficoltà e i momenti complicati degli ultimi mesi, era ancora in quella casa dove ha trovato la morte. Si era decisa a lasciarlo per sempre, a trovare un’altra casa, stava frequentando un’altra persona e di lì a qualche ora sarebbe tornata dal papà, in Molise.
Ma Romina in Molise non ci è mai tornata. Non è riuscita a riabbracciare il suo papà, suo fratello, che dovranno convivere per tutta la vita con un vuoto impossibile da riempire