Il fatto che un animale indossi un collare elettronico non implica, in maniera automatica, la sua sofferenza. Questo in sintesi quanto stabilito dal Tribunale di Isernia che ha assolto un addestratore 36enne residente nella provincia pentra. Il giudice infatti lo ha assolto stabilendo che il fatto non sussiste.
La vicenda risale a qualche anno fa. Tutto cominciò nel corso di un controllo che i carabinieri stavano effettuando in territorio di Civitanova del Sannio. I militari scoprirono che il 36enne stava addestrando due segugi che indossavano un collare elettronico.
L’uomo, al termine degli accertamenti del caso, venne così denunciato per maltrattamenti e gli elementi raccolti dagli investigatori furono ritenuti sufficienti per chiedere e ottenere il rinvio a giudizio dell’addestratore.
Il procedimento è partito e, in Aula il pm ha chiesto la condanna a 5mila euro di ammenda nei confronti dell’imputato. Il giudice al termine del procedimento ha accolto la tesi del difensore dell’uomo, l’avvocato Francesco Cilenti del Foro di Roma, assolvendo il 36enne.
«Il mio assistito – ha affermato in merito l’avvocato Cilenti – ha visto concludere il processo a suo carico nel migliore dei modi ovvero con una assoluzione perché il fatto non sussiste. La difficoltà relativa alla fattispecie era rappresentata dal vuoto legislativo tra la commercializzazione legale dei collari e il divieto di applicarli ai cani da caccia. Questa sentenza è molto importante perché si pronuncia nel merito della vicenda stabilendo che la mera applicazione del collare elettronico non è di per sé stessa indice di sofferenza dei cani, ma occorre provare che gli impulsi siano effettivamente trasmessi e soprattutto venga accertato lo stato effettivo di sofferenza dell’animale. Il tribunale di primo grado con questa sentenza ha sotto certi profili contribuito a marcare i confini interpretativi circa l’utilizzo del collare elettronico e la corrispondenza o meno alla norma incriminatrice di cui all’articolo 727 c».