Il Covid renderà tutti migliori, si diceva mesi fa. Non è affatto così, anzi.
La segnalazione di un lettore, che chiede di informare anche l’Asrem e i carabinieri del Nas, è raccapricciante: in una industria dolciaria della provincia di Isernia (tra Venafro e Pesche) che produce dolci è scoppiato un focolaio Covid-19.
Nulla di strano, ci mancherebbe. Il fatto strano, che probabilmente non costituisce reato (?) ma getta una grossa ombra sugli “insegnamenti” che la pandemia ha fornito a tutti noi, è che nonostante l’accaduto il laboratorio continui a lavorare e nessuno dei dipendenti in fase di tracciamento abbia raccontato come sono andate le cose.
Perché? Perché – lascia intuire l’esposto giunto in redazione – i dipendenti temono di essere licenziati. «Quindi lo stabilimento è rimasto aperto, si continua a lavorare e il contagio si sta diffondendo a macchia d’olio (basta vedere i positivi nella Valle del Volturno, dove vivono i dipendenti)».
Se sia collegato al focolaio di Monteroduni o meno è impossibile desumerlo, ancor di più se i dipendenti del laboratorio non hanno raccontato il vero ai funzionari Asrem addetti al tracciamento, di fatto, però, nelle ultime settimane si è registrato un notevole incremento dei positivi in numerosi centri della Valle del Volturno. Diverse anche le persone finite in ospedale. E, purtroppo, sono avvenuti pure decessi.
È mai possibile che nel 2020 in un Paese che si definisce civile come l’Italia, dopo aver contato più di 60mila vittime e un milione e 750mila malati di Covid si pensi di superare l’ostacolo non chiedendo aiuto alle autorità preposte ma nascondendo l’accaduto?
Una domanda su tutte: quale problema ha un datore di lavoro tanto da intimorire i dipendenti al punto di indurli a tacere e a mentire all’atto dell’accertamento del contagio? E, di conseguenza, qual è la condizione dei dipendenti che si sentono talmente in “dovere” (?) da tacere rispetto ad un fatto grave e pericoloso?
Buon senso consiglierebbe, al contrario, di denunciare il focolaio onde consentire all’autorità sanitaria di isolarlo e debellarlo. L’attività imprenditoriale non ne uscirebbe affatto compromessa, atteso che sanificati gli ambienti sarebbe consentita la ripresa della produzione.
Bene farebbe inoltre l’imprenditore ad investire in sicurezza, prevedendo lo screening periodico di tutti i dipendenti: unica strada percorribile per anticipare il virus e bloccare le nefaste conseguenze.
Questione di cultura? Forse. Non ci lamentiamo poi quando a Roma ci considerano un quartiere di Roma, perché storie come queste ci condannano all’eterna sconfitta.
ppm