Un po’ di ritardo sull’orario di convocazione, forse ‘merito’ del giuramento del presidente Mattarella e della cerimonia conseguente, eventi caduti più o meno nello stesso orario in cui, a Palazzo San Francesco, si accendevano le telecamere, si verificavano la connessione e si posizionavano i microfoni. Altra storia, ovvio, quella del Consiglio comunale dai toni accesi che ieri pomeriggio si è riunito in modalità mista tra un ‘mi sentite?’ e improvvisi silenzi legati solo all’assenza dell’audio, si scoprirà dopo.
L’aula si concentra subito su un argomento entrato nell’agenda della seduta senza troppo ‘clamore’ vista la genericità (voluta) dell’iscrizione all’ordine del giorno.
Il punto 2: contestazione di incompatibilità ex art. 69 del Tuel n. 267/2000. La trattazione riguarda la richiesta della Prefettura di formalizzare la contestazione di incompatibilità ad alcuni consiglieri eletti per effetto delle conseguenze pecuniarie dello sforamento del patto di stabilità risalente ad un decennio fa e, a carico del già sindaco Melogli, per effetto di una sentenza della Corte dei Conti già onorata. Punto iscritto all’ordine del giorno in maniera vaga per tutelare la privacy dei soggetti coinvolti che, però, sono finiti in tutte le case e nelle redazioni giornalistiche attraverso la diretta streaming del Consiglio. Tant’è: meno di 500 euro per la consigliera D’Achille (già versati a fine ottobre), meno di 400 euro per Raimondo Fabrizio (versati a fine gennaio) e meno di 300 per Tedeschi che ha provveduto a versare la somma non ancora contabilizzata. A fronte del contenzioso sullo sforamento del Patto di Stabilità, invece, che riguarda il consigliere Melogli e che vede come controparte la struttura, lo stesso avvocato ha chiesto (e alla fine ottenuto con il solo voto contrario di Sara Ferri e l’astensione dei 5 Stelle Barone e Bottiglieri) il rinvio alla prossima seduta per evitare il conflitto con chi attualmente sta rivestendo il ruolo di segretario comunale. E cioè il funzionario Incani. E su questa richiesta l’assise ha concentrato il dibattito per circa due ore: rinviare alla prossima o ritirare l’atto, e se sì chi deve ritirarlo? Ad un certo momento, anche la gestione dei lavori dell’Aula è finita sotto accusa. E il consigliere Amendola, nel ricordare di essere stato apostrofato con il termine ‘cafone’ dal presidente del Consiglio, lo ha tacciato di ‘improvvisazione’. Insomma, uno pari e palla a centro.
Arriva il punto 3, identificato con un genericissimo ‘interpellanza’ nella convocazione del Consiglio. Ci si arriva a senso (anche in questo caso motivi di privacy alla base della vaghezza nella descrizione dell’argomento?), intuizione confermata ma in questo caso argomento facile da indovinare. L’interpellanza dedicata al caso Ruggiero, che reca la firma anche della consigliera Dall’Olio, viene illustrata da Mena Calenda, nella sua veste di componente di minoranza del Consiglio comunale. In sintesi le due consigliere chiedono al sindaco Castrataro di conoscere le motivazioni per le quali ha inteso individuare figure esterne nel suo Esecutivo e quali le competenze che lo hanno spinto ad individuare l’assessore esterno di cui trattasi.
E qui parte il fuoco di fila: il sindaco, dapprima compassato, ricorda le dichiarazioni fatte in campagna elettorale quando preannunciava l’intenzione di affidare alcuni settori ad esterni in luogo, evidentemente, dalle spiccate professionalità. Orgoglioso di aver scelto Leda Ruggiero, per l’impegno, le capacità e le sensibilità, rimarca. Poi il tono di voce cambia e parte la filippica: «non posso dire altrettanto dell’assessore regionale Calenda visto il taglio di circa 400mila euro al fondo per la non autosufficienza. Sono maggiormente però dispiaciuto per questa interpellanza che è politicamente scorretta, soprattutto se viene da chi è stato nominato assessore dopo aver dichiarato di voler sfiduciare il presidente della Regione. Ergo, lezioni di politica io non le predo».
Fulmini e saette, ovviamente: Mena Calenda (che probabilmente è in macchina, da come si intuisce dallo streaming, ed ha una connessione ballerina) smette i panni del consigliere comunale di Palazzo San Francesco e indossa rapidamente quelli dell’assessore regionale: «non avevo dubbi, lei sindaco è un habitue nel tirare in ballo il governo regionale. Si preoccupi di Isernia, noi siamo riusciti a trovare le somme necessarie per compensare il taglio dei fondi legato al mancato cofinanziamento. Si vergogni di queste strumentalizzazioni, lei e quei quattro scalzacani. Le lezioni di politica? Le deve prendere».
Due minuti soli per la replica (dopo un consiglio passato ad intervenire senza alcun riguardo per le regole, però). Alla fine, alla fatidica domanda sul livello di soddisfazione della risposta ricevuta, Mena Calenda indossa di nuovo i panni dell’inquilino di Palazzo San Francesco. “Soddisfatta?” la domanda retorica.
E mentre al Quirinale, il Capo dello Stato si insediava nel segno del sacrificio in nome dei bisogni del Paese, nell’aula consiliare volavano gli stracci.
ls