La processione del Venerdì Santo ha un prologo che consiste nella preparazione accurata delle statue della Mater dolorosa e del Cristo morto. Alcune donne adornano di fiori il giaciglio di Gesù, il cui corpo privo di vita mostra sanguinanti ferite. Poi cambiano l’abito al simulacro dell’Addolorata, vestita a lutto, con nero manto stellato e il cuore trafitto da sette pugnali (i sette dolori di Maria). Le due statue sono conservate nella chiesa di Santa Chiara, che è il luogo di partenza e d’arrivo della processione, la cui organizzazione è affidata da secoli alla confraternita del Santissimo Sacramento che ha sede nella medesima chiesa.
Il Cristo morto e l’Addolorata, insieme con altri elementi iconici, quali le croci della salita al Calvario (vengono trasportate a spalla dagli incappucciati e intendono riprodurre la croce che Gesù portò sul Golgota) e i busti dell’Ecce Homo (raffigurano Cristo dopo la flagellazione: Gv 19, 5), vengono portati in processione da particolari fedeli penitenti: gli Incappucciati, così chiamati per il cappuccio che copre il loro volto. Altre croci che caratterizzano il corteo sono quelle col Sudario (sul cui segmento orizzontale viene collocato un panno bianco: Gv 20, 1-8) e quelle con gli strumenti della Passione (gli oggetti del martirio di Gesù: la lancia, la tenaglia, i dadi, ecc.).
La processione esce in tarda serata, quando è ormai buio. Percorre un itinerario che attraversa più quartieri del centro storico e della parte alta della città. Su molti balconi, le famiglie preparano per l’occasione addobbi e luci. Le musiche, ma soprattutto il silenzio e le preghiere, creano una commozione intensa, che non si riscontra in nessun altro rito religioso isernino. Il clima di afflizione che si respira è profondissimo.
Gli incappucciati. A Isernia, il Venerdì Santo è il giorno degli Incappucciati, che indossano una tunica bianca con un cappuccio dello stesso colore e un cordone rosso alla cintola. Molti di loro, sul cappuccio poggiano una corona vegetale fatta di ramoscelli primaverili, che vuole simboleggiare la corona di spine di Cristo; infatti gli Incappucciati più tradizionalisti preferivano utilizzare dei rametti spinosi di rovo. Fino al 1989, i portatori delle statue dell’Addolorata e di Gesù morto non indossavano il cappuccio, che era riservato ai soli portatori delle croci e dei busti degli Ecce Homo. Il cappuccio è di tipo floscio, con la punta che ricade indietro, a differenza di quello “armato” (cioè rigido e a forma di alto cono, come ad esempio il capirote spagnolo). Tale copricapo e coprivolto ha un valore catartico per chi lo utilizza. Gli Incappucciati, infatti, partecipano alla processione per scopi di purificazione da raggiungere attraverso forme penitenziali, come sopportare per lungo tempo il peso d’una croce o d’una statua, camminare a piedi scalzi, recitare preghiere e altro ancora. Cercano l’espiazione dei peccati, vogliono mondare l’anima da ogni colpa. E per dare maggiore valore a questa ricerca di purificazione celano la propria identità. Non intendono, cioè, ostentare la presenza nel corteo processionale, ma la nascondono per assecondare, senza esibirle, una mistica ricerca della dimensione del sacro e un’intima contemplazione della sofferenza (la morte di Cristo e il lutto dell’Addolorata).
Le confraternite. Le confraternite che hanno un ruolo storicamente consolidato e definito durante la processione del Venerdì Santo di Isernia sono: Sant’Antonio di Padova, Santa Maria del Suffragio (altrimenti detta, anticamente, del Purgatorio), Santissimo Sacramento (a volte denominata Corpo di Cristo) e Santissimo Rosario (meglio conosciuta come San Domenico). Tali sodalizi laicali si distinguono per il colore delle mozzette: marrone per Sant’Antonio, celeste per il Suffragio, rosso per il Sacramento e nero per il Rosario. Dagli anni novanta dello scorso secolo, sfilano in processione anche gli appartenenti alla confraternita La Fraterna, che non indossano mozzetta ma un mantello color turchese. Qualche anno fa, è stata riproposta anche l’Arciconfraternita di San Nicandro e di San Pietro Celestino, che aveva cessato ogni effettiva esistenza.
Un antico elenco di congregazioni è incluso nella monografia intitolata Isernia, scritta nel 1858 da Stefano Jadopi: «S. Antonio da Padova, nella Chiesa S. Francesco dei già Conventuali, come il Vadingo negli Annali di detta religione: Adiunctum huic Ecclesiae anno 1450 Sacellum Divi Antonii adeo templum, ut integrae Ecclesiae adeguatae mensurum et numerosae, serviat Iserniensium sodalitati. […] Il SS. Rosario fu istituito nel 1600 accosto la Chiesa di S. Croce dei già P.P. Domenicani, fusa nell’antica Frateria dei Battenti […]. S. Maria del Suffragio, o Purgatorio, eretta nell’antica Chiesa di S. Elena […] con bolla del Vescovo Terzi 20 Ottobre 1712. Sette Dolori, nella Cattedrale, con bolla del Vescovo de Leone dei 29 Gennaio 1723; ne rimane semplice memoria. SS.mo Sacramento, attualmente per decreto del 1° Ottobre 1840 nell’antica Sacristia e Chiesa S. Chiara. S. Nicandro Martire e Celestino Pontefice, per decreto 3 Gennaio 1838, in quella sopraccennata [chiesa] di S. Francesco e nell’altra di S. Pier Celestino».
La Mater Dolorosa. A Isernia, la Madonna Addolorata è protagonista di due processioni, la prima ha luogo il venerdì di passione (quello che precede la domenica delle palme), la seconda si tiene il Venerdì Santo (che precede la domenica di Pasqua). Le sette spade che trafiggono il cuore della Vergine simboleggiano i suoi Sette Dolori: 1°, Maria nel tempio ascolta la profezia di Simeone (Lc 2, 35: E anche a te una spada trafiggerà l’anima); 2°, Maria fugge in Egitto per salvare Gesù (Mt 2, 13: Erode sta cercando il bambino per ucciderlo); 3°, Maria smarrisce e ritrova il Figlio (Lc 2, 48: Tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo); 4°, Maria, sulla via del Calvario, incontra Gesù che porta la croce (Gv 19, 26: Gesù vide sua Madre lì presente); 5°, Maria assiste alla crocifissione e alla morte di Gesù (Gv 19, 30: Tutto è compiuto!); 6°, Maria riceve sulle braccia il Figlio tolto dalla croce (Mc 15, 47: Maria di Màgdala e Maria madre di Ioses stavano ad osservare dove veniva deposto); 7°, Maria presso il sepolcro (Gv 19, 41-42: Nel luogo dove era stato crocifisso c’era un giardino, e in quel giardino un sepolcro nuovo, dove nessuno era ancora stato sepolto. Là dunque deposero Gesù).
Mauro Gioielli

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