Il caos che si registra quotidianamente al Veneziale non è questione esclusivamente giornalistica, non è affare meramente ‘da addetti ai lavori’, non riguarda solo i medici (pochissimi) che continuano ad erogare le prestazioni sanitarie.
É una mannaia che si abbatte su chi ha bisogno di quei servizi sanitari, su chi arriva nel nosocomio perché non può farne letteralmente a meno.
Perché gli incidenti domestici, l’improvviso aggravarsi di una qualsiasi patologia, una puntura d’insetto e tutto quello che può capitare quotidianamente, accadono sempre e comunque. Non dipendono di certo dal numero di medici che, in un ospedale, rendono concreto il diritto alla salute.
Domenico Paolo Pontarelli si sfoga, dopo aver raccontato quanto accaduto alla sua mamma in un lungo e accurato post su Facebook.
«La operano domani (oggi per chi legge, ndr) – racconta al telefono -, alla fine siamo stati costretti a rivolgerci ad un ospedale della Campania dove l’hanno sottoposta agli esami di cui aveva necessità e hanno fissato la data dell’intervento. Ma quanto le è capitato può succedere ad altri pazienti, a persone che magari sono sole, ad anziani che non hanno la lucidità necessaria per capire, chiedere spiegazioni, comprendere cosa stia accadendo».
È mercoledì 22 giugno: la mamma di Domenico cade. Un dolore lancinante, la certezza che non si tratti di un problema risolvibile con una pomata e il trasferimento al Pronto soccorso del Veneziale. Lì viene sottoposta ad una radiografia che evidenzia la rottura dell’omero. Servirà l’intervento chirurgico.
Solita trafila per i tamponi antigenici, che risultano invalidi. Bisogna farne di nuovi. Resta in reparto per una notte e quasi per l’intero giorno successivo. Perché nel frattempo le scorte di tamponi finiscono (di nuovo, era già accaduto un paio di settimane fa) e bisogna aspettare che arrivino gli altri test. E, ovviamente, non si può accedere in reparto senza un risultato di negatività.
Nel tardo pomeriggio (la signora è al Ps dalla sera prima), la paziente ‘davvero paziente’ viene ricoverata in Ortopedia. Reparto che sconta le medesime carenze di organico che si registrano al Pronto soccorso, al punto che in queste ore si ragiona di una sorta di ‘patto di mutuo soccorso’ tra Cardarelli e Veneziale così da consentire di tenere aperti entrambi.
Ed è lì che la signora – cosciente, lucida, perfettamente in grado di capire cosa le accade ma inibita nei movimenti e quindi bisognevole di assistenza – chiede informazioni sul proprio stato di salute visti i limiti alla presenza dei familiari che ancora vigono legati alle normative anticontagio. Lì trascorre quattro giorni senza essere sottoposta all’unico esame di cui aveva bisogno. Una Tac.
«Quando abbiamo chiesto informazioni – racconta il figlio contattato telefonicamente ieri pomeriggio – ci hanno risposto che era stata avanzata la richiesta ma dalla radiologia mia madre non è stata mai chiamata.
Bisognava attendere una chiamata che non è mai arrivata. Mia madre doveva essere operata, avevamo contezza dei suoi bisogni che la radiografia effettuata quando è entrata in Pronto soccorso aveva evidenziato. Ovviamente la Tac era indispensabile poiché senza quell’esame non si poteva decidere come intervenire. “Se c’è da mettere un chiodo possiamo farlo pure qua ma se è più complesso ti dobbiamo trasferire”, queste le parole più o meno usate per rimarcare il bisogno di quell’esame, richiesto, ci hanno ripetuto più volte, ma mai effettuato».
Quindi, secondo la narrazione dei medici con i quali i familiari della donna e la paziente stessa hanno parlato, dal reparto sarebbe partita la richiesta di una Tac da effettuarsi nello stesso ospedale ma in Radiologia. Richiesta alla quale in quattro giorni non è stato dato seguito.
«Una situazione per la quale, sinceramente, non trovo le parole corrette – commenta ancora Domenico Paolo Pontarelli – e preferisco non addentrarmi sia nel racconto sul ‘tira e molla’ tra Pronto soccorso e Ortopedia per far sì che venisse ricoverata, visto che sembrava dovesse arrivare non si è capito bene quale autorizzazione per accettarla in reparto, e sulla mancata assistenza dovuta ad un paziente.
Consideri che il tutore lo abbiamo portato noi, l’acqua da bere con questo caldo l’abbiamo portata noi. In tutto questo caos, solo due infermiere del Pronto soccorso sono state sensibili, attente, professionali e l’hanno accudita. Persone che svolgono la loro missione con impegno e dedizione e che meriterebbero di lavorare in ben altre realtà».
Un calvario, durato da mercoledì a domenica mattina quando la signora ha firmato le dimissioni ed è stata accompagnata dal figlio in un altro ospedale, in Campania. Oggi sarà operata, finalmente.
«Questo non è un ospedale – commenta amaramente Domenico Paolo, riferendosi al Veneziale -, questa non è sanità e questa non è una regione. Fra meno di un anno si tornerà a votare, si parla di candidati, di apparentamenti ma nessuno affronta le criticità da risolvere in questo buco di regione. Sarà il caso di ricordarlo ai nostri politicanti dalla saccoccia piena e dalla realtà distorta».
Il chiodo l’ha messo davvero, Domenico Paolo Pontarelli. A futura memoria.
ls