Smonta la classifica sulla qualità della vita, la riduce a brandelli, ne spiega contraddizioni ed errori e fa chiarezza sulle modalità con le quali si è giunti al risultato, impietoso, che riguarda Isernia.
Sergio Fraraccio – politologo esperto di amministrazione locale, ricercatore sociale, specialista di politiche sociali – è studioso anche dei fenomeni statistici, sociali e culturali che riguardano la sua cittadina. L’ha fatto di recente, con la sua analisi su «Minori e centro storico di Isernia: indagine demografica».
Nel 2021 ha anche affrontato lo stesso tema, quello della qualità della vita a Isernia, con una ricerca e uno studio sociale condotto attraverso 126 indicatori dinamici.
Non solo: ha dato vita ad una community, «LabIS» che un vero e proprio laboratorio di cittadinanza, ossia come lui stesso spiega «un luogo di partecipazione consapevole dei cittadini ai processi decisionali relativi alla formazione delle politiche pubbliche del Governo locale (Isernia e suoi territori d’influenza).
Il “laboratorio” consente di mettere a fattor comune la preventiva informazione sugli argomenti in trattazione, in modo che ogni cittadino sia in condizione di fornire ogni utile contributo alla individuazione delle proposte e soluzioni più adeguate e condivise.
In questo modo il cittadino si appropria di uno spazio di democrazia, costituzionalmente garantito, basato sulla partecipazione attiva e sui processi decisionali inclusivi, in guisa che i decisori politici siano chiamati ad ascoltare la cittadinanza, prima di “decidere”».
Insomma, il suo è un osservatorio privilegiato e, soprattutto, altamente competente.
E così Fraraccio spiega, offrendo la lettura dei dati, come sia possibile finire a fondo classifica e perdere 25 posizioni in 12 mesi.
Una classifica sulla qualità della vita, quella pubblicata da Il Sole 24 Ore, «vagamente coerente alla realtà presuntivamente dedotta se non per una significativa compensazione di errori – spiega subito – per cui ci sta che a Bologna si viva meglio di Isernia, ma non nei termini qualitativi e quantitativi rappresentati. Tanto meno si può dire che da un anno all’altro lo scorrimento in classifica sia indicatore di particolari miglioramenti o peggioramenti della qualità della vita» puntualizza, spiegando alcuni dei motivi in base ai quali la classifica non sia «esattamente rappresentativa della realtà locale».
Innanzitutto, «gli indicatori hanno base provinciale e non è detto che la realtà della città capoluogo sia sovrapponibile con quella della relativa provincia – spiega -. Potrebbe valere per Trieste che ha solo altri 5 comuni in provincia e costituisce l’87% della popolazione e il 40% del territorio; ma come la mettiamo per Cuneo che ha altri 246 comuni e costituisce solo il 10% della popolazione e meno del 2% del territorio provinciale? Gli esempi sarebbero tanti, ma è già chiara la dissociazione della realtà provinciale da quella del relativo comune capoluogo». Ed ecco la prima criticità che può ovviamente essere considerata anche per la provincia di Isernia.
«Leggere i dati e trarre conclusioni secondo la posizione in classifica della provincia è un gravissimo errore – spiega ancora -. In ipotesi, le province potrebbero avere tutte valori altissimi e ciò non significherebbe che l’ultima in classifica sia una città dove si vive male (e viceversa). In errore grossolano incorre anche il lettore che associa la posizione in classifica alla qualità dell’amministrazione comunale, sia perché questa non ha alcuna incidenza su molti indicatori considerati, sia perché su quei pochi indicatori pertinenti le politiche cittadine vanno a riflettersi in lassi di tempo medio-lunghi.
Entrando nel merito della ricerca – continua – non può essere sottaciuta la carenza di un elemento di giudizio fondamentale costituito dalle aspettative dei cittadini, per i quali la qualità della vita è data in termini di soddisfazione delle loro attese. Queste cambiano a seconda dei luoghi e dei tempi per cui rappresentano proprio l’elemento di base rispetto al quale rapportare la qualità della vita.
La ricerca “a tavolino”, senza rilevazioni sul campo, si basa su banche dati disponibili che vengono usate (quasi solo) in quanto disponibili, per cui alcuni indicatori presentano una insignificante attinenza allo scopo cui sono associati ed ampliano oltre ogni tollerabile misura la componente aleatoria dei dati e delle conclusioni dedotte.
Si rilevano anche errori tecnici (ripetuti negli anni) che stridono con l’autorevolezza della fonte. Uno su tutti, la confusione dell’indice di natalità col “tasso di fecondità – Numero medio di figli per donna”, imperdonabile anche per uno studente al primo esame di demografia.
Omessa ogni ulteriore considerazione, ce n’è già abbastanza per rivolgere altrove la ricerca di riscontri oggettivi sulla reale qualità della vita della nostra comunità».
Un invito non verbalizzato, rivolto probabilmente anche alla categoria dei giornalisti, di considerare in maniera diversa le classifiche di fine anno che troppo spesso disegnano città che, nel concreto, sono assai diverse. Come forse anche il caso Isernia insegna.
ppm

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