La vertenza Atm buca lo schermo, arriva ai telespettatori italiani e agli ospiti in studio come una sberla in piena faccia.
Si materializza – per chi non la conosce perché raramente questa vicenda tutta molisana ha superato i confini regionali – nel racconto, dignitoso per chi lo espone e indigesto per chi lo ascolta- di chi la affronta ormai da troppo tempo per averne altro da concedere.
Le telecamere de La 7 a Isernia, in studio Myrta Merlino che conduce il programma di approfondimento mattutino. In strada, nel capoluogo pentro, alcuni autisti che raccontano l’odissea che sono costretti ad affrontare per ricevere lo stipendio dall’Atm, la società per la quale lavorano.
Lo stipendio. Dovuto. Nulla di più.
«Gli stipendi arrivano sempre in ritardo – racconta Antonio, che si corregge subito -, magari in ritardo! Oggi avanziamo novembre, dicembre, la tredicesima mensilità e gennaio. Qualcuno pure ottobre. Ci sono altri colleghi che aspettano altre mensilità. Noi vorremmo capire questi soldi pubblici dove vanno a finire – sottolinea con un tono garbato, nonostante tutto, l’autista che racconta la sua quotidianità difficile, senza certezze nonostante un lavoro ce l’abbia -: la Regione puntualmente, ogni mese, versa all’azienda (l’Atm appunto) questi soldi ma perché non vengono pagati gli stipendi?»
Domanda legittima, che purtroppo è ciclica, identica a se stessa, senza soluzione di continuità da anni.
Dallo studio Myrta Merlino entra nel vissuto dell’uomo: una famiglia monoreddito e una moglie bisognosa di cure. Visite mediche che si devono pagare e che richiedono una disponibilità economica che l’uomo avrebbe, se gli stipendi venissero pagati regolarmente così come dovrebbe essere.
«Sul mio conto corrente ci sono 3 euro – racconta ancora Antonio – come si fa ad andare avanti? Siamo sei in casa, lavora solo mio figlio e io a 50 anni devo chiedergli la 100 euro per poter andare a lavorare? Il nostro è un trasporto pubblico, dobbiamo garantirlo, non possiamo interromperlo perché ci denunciano».
Angela, la moglie di Antonio, conosce a menadito le vicende, le domande e le risposte, la gara pubblica che per troppo tempo non è arrivata a conclusione. Stretta nel suo piumino grigio, battagliera e determinata, risponde a muso duro e alza il livello.
«Angela è stanca di litigare con il marito perché non arrivano i soldi a casa, è stanca di sentirsi rispondere da chi dovrebbe pretendere rispetto che bisogna aspettare ‘il tavolo’, la giustizia… Angela è stanca di mandare il marito a lavorare con i soldi degli altri, dei miei familiari e dei miei figli. Io non mi posso curare perché la Regione o l’Atm non pagano? Ho chiesto al titolare dell’azienda (l’imprenditore La Rivera) di avere una coscienza, per la dignità di questi uomini: credo che non ce l’abbia una coscienza, è un vigliacco, è uno stronzo – sbotta, trattenendo la rabbia -, e che mi denunci pure che in galera mangio… Non è giusto che i sindacati da 10 anni combattano al nostro fianco per avere informazioni e la Regione risponda di aver pagato l’azienda. E loro, l’Atm, che risponde? Aspetta tu…»
Le parole di Angela colpiscono, il silenzio – seppur di qualche secondo – rende chiaro a tutti come la precarietà di chi un lavoro ce l’ha – ed è questo il paradosso – sconvolge le vite e i destini. Mentre il dibattito riprende in studio, Angela ha un cedimento. Perde l’equilibrio, si siede a terra, piange mentre si copre il viso.
«Quello che possiamo promettere – le dice Myrta Merlino, sinceramente colpita dalla vicenda e dalle parole dure di Angela –, nel nostro piccolissimo, è che questa vicenda non la molliamo. Oltre ai sindacati anche noi chiederemo conto».
Angela non si tiene più. Parla per tutte le mogli, per tutti i figli di chi lavora ma non viene pagato regolarmente. «Oggi che mangio, come faccio la spesa? Rispondetemi… Mio padre ha 84 anni e mi sta aiutando».
Parole che colpiscono la giornalista che rilancia: «Chiedo ai miei autori di parlare con la Regione, è ovvio che ci sia qualcosa che non va: immagino che rispetto ad una cosa così grave non può limitarsi ad aspettare, qualcosa bisogna fare. L’unica cosa che non si può fare è mantenere le persone alla disperazione».
Su La 7 è andato in onda il Molise che esiste e forse, almeno per questa volta, non dovrebbe….