È partito presto dalla casa dove, dieci mesi fa, aspettava che Romina tornasse come d’accordo e dove l’ha accolta senza vita. Anche ieri papà Mario ha raggiunto, con il cuore spezzato, l’aula del Tribunale dove si è celebrata la seconda udienza a carico di Pietro Ialongo, quel ragazzo che ha visto crescere e che, nella notte tra il 2 e il 3 maggio scorso, ha infierito sul corpo di sua figlia con 14 coltellate.
Al fianco del suo legale, l’avvocato Danilo Leva, e del collega Fiore Di Ciuccio che rappresenta nel processo l’altro figlio, il fratello di Romina, Mario De Cesare ha ascoltato il racconto dei poliziotti della Questura di Frosinone che quella maledetta notte arrivarono in via del Plebiscito e aprirono la porta sull’incubo che, purtroppo, lo accompagnerà per il resto della vita.
Nell’aula della Corte d’Assise c’è anche l’avvocato Maria Calabrese, che rappresenta l’associazione Liberaluna, parte civile nel processo per omicidio volontario aggravato dalla coabitazione a carico di Pietro Ialongo, l’ex compagno di quella giovane donna, dai lunghi capelli biondi e dallo sguardo dolce, vittima di femminicidio.
È la guardia giurata con la quale Romina avrebbe dovuto, di lì a poco, cominciare una nuova vita felice e piena d’amore a chiamare la Polizia nella serata tra il 2 e il 3 maggio del 2022. Non la sente da troppe ore, non è da lei non rispondere ai suoi messaggi, qualcosa le è accaduto. Lo sente, avverte un presagio. E così chiama il 113: gli agenti, a sirene spiegate, arrivano nell’appartamento di via del Plebiscito a Frosinone dove Romina e Pietro, nonostante non siano più una coppia, continuano a vivere insieme. Tempo qualche ora e la 36enne di Cerro al Volturno sarebbe tornata a casa dal papà che l’aspettava, anzi che avrebbe voluto andarla a prendere. Un gesto d’amore forse dettato dal timore che potesse accaderle qualcosa ma che Romina rifiuta, con quella dolcezza solita. Non preoccuparti papà, ci vediamo presto.
I Vigili del Fuoco che sfondano la porta, la Polizia che entra e immediatamente scorge il corpo della donna a terra, all’ingresso dell’appartamento. È vestita, ha i piedi nudi e sporchi di sangue. Non respira più.
L’aggressione, come la ricostruzione dell’omicidio certificherà, avviene non appena la donna rientra a casa. Il tempo di togliersi le scarpe e, alle spalle, compare l’ombra di Pietro Ialongo.
Che non si arrende alla fine dell’amore, che non accetta la nuova felicità di Romina, che nei fatti la considera ‘sua’, una proprietà. E che tale deve restare. Che non può pensare che lei stia cercando una nuova casa, che possa lasciarlo per sempre.
In mano Pietro ha il coltello che lei gli ha regalato. Lo aveva comperato a Parigi, sa che è un appassionato. Quel giorno, in quel negozietto dove lo aveva trovato e acquistato, non immaginava che lui lo avrebbe usato un giorno. Per ucciderla.
Fendenti all’addome, ripetuti e veloci. Romina che riesce a divincolarsi, si gira, prova a proteggersi frapponendo le braccia tra lei e quel coltello brandito ancora con violenza. Poi Pietro ha gioco facile: la spinge a terra, la colpisce guardandola negli occhi e le sferra la coltellata fatale al cuore.
La lascia lì, sul pavimento. Con le mani sporche di sangue va in bagno, si lava ed esce frettolosamente sbattendo la porta.
L’epilogo di una vera escalation, che trova il culmine nella giornata del 26 aprile quando, come accertano le analisi sui tabulati telefonici delle utenze intestate a Romina e al suo assassino reo confesso (ma solo dopo aver appreso della morte della donna), fra i due sono stati scambiati in poche ore 218 sms, escludendo i messaggi via Whatsapp e le telefonate.
Quel 26 aprile, sei giorni prima di morire, Romina torna a casa e non riesce a girare la chiave nella toppa. Chiama il 112, racconta che l’uomo con il quale condivide la casa, il suo ex compagno, le impedisce di entrare. Chiede aiuto. Ma, cinque minuti dopo, ricompone quel numero e annulla quella richiesta. È tutto rientrato, nessun problema. Grazie, davvero. È tutto ok.
Probabilmente l’uomo, dall’altra parte della porta, potrebbe aver sentito la telefonata al numero unico d’emergenza e potrebbe aver deciso di aprire, per evitare l’arrivo dei Carabinieri con tutto quello che poteva scaturirne.
E forse, con il senno di poi, quella seconda telefonata al 112 ha rappresentato per Romina il primo passo verso la morte, l’epilogo che Ialongo scrive per lei.
Nell’udienza di ieri, le parti hanno prestato il consenso al deposito del brogliaccio delle intercettazioni. Non servirà un perito, quindi, per la trascrizione. Saranno analizzate nel corso della prossima udienza, il 6 aprile.
E dalle conversazioni fra Ialongo e i suoi genitori in carcere, durante i colloqui nell’istituto penitenziario di Frosinone, dalle parole che sua madre e suo padre si scambiano nell’auto di famiglia, dalle telefonate partite e ricevute sul telefonino del capofamiglia potrebbero venire fuori ulteriori elementi interessanti, in grado di fornire dettagli utili alla ricostruzione del contesto familiare e culturale nel quale questo omicidio è maturato.
Sì, perché, gli inquirenti hanno intercettato Pietro e la sua famiglia nella stanza per i colloqui del carcere dove è detenuto. Hanno captato le conversazioni nell’auto usata dai genitori dell’uomo, hanno costantemente monitorato il telefonino del padre di Ialongo.
Prossima udienza il 6 aprile, quindi: saranno ascoltati i carabinieri di Sabaudia, intervenuti sul litorale di Anzio dove Pietro Ialongo scappa dopo aver commesso l’omicidio della sua ex compagna. Allertati dai passanti che raccontano di un uomo seminudo, che pronuncia frasi sconnesse, i militari raggiungono la spiaggia, lo fermano e lo accompagnano in ospedale.
Viene fuori che quel ragazzo risulta domiciliato nella stessa casa dove, qualche ora prima, è stato trovato il corpo senza vita di una donna. Le tessere del mosaico si ricompongono. Quel biglietto trovato addosso all’uomo – non volevo ucciderla, io la amo – ha purtroppo un senso compiuto.
Saranno ascoltati, nella prossima udienza, anche la professoressa di francese che ha tradotto i messaggi che Romina scambiava con l’amata zia che vive a Parigi, probabilmente anche in quel 26 aprile, giorno in cui la giovane vittima chiama il 112. In aula ci saranno anche il medico legale incaricato dell’autopsia e il collega che ha effettuato l’ispezione cadaverica.
Ieri mattina, in Tribunale, c’era anche Pietro Ialongo e i suoi due legali, gli avvocati Vincenzo Mercolino e Riccardo Di Vizio. Nello spazio destinato agli imputati, dietro le sbarre, ascolta quel racconto che conosce bene. Non incrocia lo sguardo di papà Mario. Chissà se ne avverte il peso e il dolore.
lucia sammartino