Se per Lucio Pastore è un’altra (l’ennesima) giornata infernale, per i due medici venezuelani – arrivati in reparto proprio ieri dopo l’avviso pubblico al quale hanno partecipato e l’attesa dei tempi tecnici per adempiere ai procedimenti burocratici – sarà stata una giornata davvero da panico.
La racconta – con la rabbia di chi non si arrende e che quando sta per cedere alla rassegnazione trova sempre la forza per non mollare – proprio il primario del Pronto soccorso del Veneziale. Che, a cadenze regolari, fronteggia situazioni inimmaginabili all’interno di un reparto che sconta la cronica carenza di medici da troppo tempo. Ieri, al lavoro, era solo nei fatti: i medici venezuelani che hanno iniziato il proprio lavoro con l’Asrem in una giornata da bollino rosso, non sono ancora autonomi sotto il profilo linguistico. Difficile che possano prendersi cura dei pazienti non potendo comprendere – per ragioni oggettive – quello che raccontano in merito ai sintomi. Necessitano anche loro di ‘assistenza’.
Ed è la scena di un film già visto. Che va in onda a cadenza ciclica, con gli stessi protagonisti, attori e comparse. Senza che cambi una virgola nella sceneggiatura. Il lieto fine (e cioè l’arrivo di medici strutturati, pronti a lavorare nel reparto front office dell’ospedale e quindi in grado di colmare una carenza che ormai si è cronicizzata) è escluso, sempre. Gli avvisi vanno deserti.
Impossibilità di prendersi cura, con le tempistiche che meritano, dei 20 pazienti che ieri mattina hanno varcato la soglia del Pronto soccorso. Impossibile anche per chi arriva in ambulanza, come la donna con una grave crisi respiratoria che ha dovuto attendere in ambulanza. Mancano medici, posti letto, barelle.
Il Veneziale, ospedale che copre l’intera provincia, è diventato questo. Un posto dove – nonostante la dedizione, il sacrificio, l’impegno dei medici che ottemperano al giuramento di Ippocrate – il diritto alla salute è diretta conseguenza di troppe variabili.
«Più di 20 malati all’interno del Pronto soccorso ed altri in attesa fuori. L’unico medico in servizio, per mancanza di personale, in condizioni disastrate. Persone che attendono buttate sulle barelle, una risposta di cura che è sempre più difficile dare – lo sfogo di Lucio Pastore -. Arrivano nella stessa giornata tre colleghi venezuelani, che ringraziamo, ma devono comprendere come gestire il lavoro in questo inferno. Posti letto in ospedale, disponibili per i pazienti che necessitano di ricovero, non ci sono come nel resto della regione. Non esiste un territorio che risponda alle esigenze di questi pazienti che continuano ad affollare i nostri locali. Coinvolta la direzione ospedaliera per avere un aiuto, nessuno si presenta e risponde. Ci caricano di ulteriori problemi burocratici in un inferno senza limiti determinato da questa malagestione. Questo è il risultato finale di una classe politica indecente che negli ultimi 20 anni ha gestito il territorio. Il Molise sta morendo per loro ed il disastro sociale della distruzione di un sistema sanitario pubblico ricadrà su tutta la popolazione.
Non credo che ci siano speranze di uscire da questo inferno. Non si vede un futuro decente per il nostro sistema sanitario disastrato e non c’ è neppure la forza di reagire perché tutta questa melma generata dalla politica viene riassorbita come muro di gomma. Cosi non è più possibile andare avanti e diventa inutile qualsiasi sacrificio».
Fuori, davanti all’ingresso del Pronto soccorso, l’ambulanza ha appena accompagnato una paziente, affetta da patologie importanti, in grave crisi respiratoria. Non può accedere al Pronto soccorso perché mancano barelle e posti letto Venticinque pazienti. Alcuni in attesa, alcuni già presi in carico.
«La situazione critica della sanità è chiara da moltissimo tempo, i colleghi in Pronto soccorso sono molto pochi, l’affluenza è altissima ed è evidente che un medico da solo non possa gestirli – commenta il medico del 118 che sta attendendo di poter trasferire la paziente in reparto -. Ho chiamato in centrale, per sapere come regolarmi, e mi è stato risposto che se il primario non ci fa trasferire la paziente, dovrà scrivere sulla nostra scheda il motivo e dobbiamo trasferire il paziente a Campobasso».
Avrebbero dovuto essere due i medici in servizio, spiega poi Pastore, perché il collega da Campobasso – inserito nel turno come attività aggiuntiva (i famigerati straordinari che consentono di poter erogare i servizi) – è stato impossibilitato a raggiungere Isernia.
«Sono pieno di malati gravi, alcuni che sto trasferendo a Campobasso per urgenze che possono diventare mortale, abbiamo perso un paziente per emorragia cerebrale, posti letto non ce ne sono. Si continua con questo sfascio della sanità che sembra non finire mai» dice, allargando le braccia.