Ma che c’azzecca la psicosi TikTok con Isernia? C’entra, c’entra. Se, come nel caso di specie, vive nel capoluogo di provincia il guru dei filtri e della realtà aumentata. E chi meglio di lui può spiegare ai ‘comuni mortali’ perché l’applicazione da miliardi di utenti nel mondo sia considerata potenzialmente pericolosa e non solo per gli Stati alle prese, soprattutto oltreoceano, con la decisione di inibirne l’uso?
Fabio Forgione, aka Piotar Boa, l’unico italiano (isernino d’adozione) del team Meta del Gruppo Facebook, lancia l’alert sul proprio profilo social. Poche parole, che fanno intendere che sia meglio disinstallare l’applicazione. Se ne parla da tempo, le notizie però ultimamente, sembrano essere sparite dal mainstream soppiantate dal caso ChatGpt.
E visto che il guru della realtà aumentata è ‘amico’ di Primo Piano Molise, niente meglio che chiedere a lui cosa accade. Soprattutto perché in ogni famiglia c’è un account TikTok (o più di uno) e magari qualche utilizzatore del più noto tra i software di intelligenza artificiale relazionale in grado di simulare ed elaborare le conversazioni umane. Che, il 20 marzo scorso, ha subito una perdita di dati riguardanti le conversazioni degli utenti e le informazioni relative al pagamento degli abbonati al servizio a pagamento. E così il Garante per la protezione dei dati personale ha bloccato ChatGpt per raccolta illecita di dati personale e assenza di sistemi per la verifica dell’età dei minori.
Fabio, illuminaci. Come giudichi il provvedimento assunto nei confronti di ChatGpt e perché sei arrivato alla conclusione che sia altamente consigliabile disinstallare TikTok?
«Sono due cose diverse, a mio avviso. La verità? Credo che dalle parti del Garante della privacy non sappiano che basta una VPN (Virtual Private Network, quindi una rete virtuale privata, che crea una connessione di rete privata utilizzata per trasmettere dati sulle reti pubbliche in modo anonimo e sicuro, ndr) per usarlo tranquillamente. Il provvedimento? Mi sembra più un modo di prendere tempo per studiarla meglio.
Diverso e pure parecchio il discorso TikTok di cui ora non si parla più. Ti racconto come è andata: qualche mese prima dell’emergenza Covid, una conoscenza che appartiene ad un gruppo su Twitter, un ragazzo ucraino, si incuriosisce. Lui lo fa per divertimento, veramente apre tutto a scopo puramente didattico. La sua curiosità nasceva dal fatto che questa applicazione avesse (e ha ancora) milioni e milioni di utenti. Una sfida perfetta e si è detto “fammi andare a sorpassare tutte queste barriere per vedere”. Ed ha scoperto che questa app scarica tutti i dati che una persona ha sul telefono. In pratica ha notato il trasferimento di tutto: foto, dati, qualsiasi cosa si scriva in tempo reale sulla tastiera, messaggistica, mail e tutto questo nonostante non si sia fornito il consenso. Praticamente, l’app fa come gli pare. Sull’Iphone, qualche mese dopo, c’è stato un importante aggiornamento, il più corposo che attiene la privacy, che consente di verificare in tempo reale se qualcuno invia o prende dati. E io stesso ho verificato che TikTok acquisiva informazioni. L’ho rimossa e ho consigliato anche ai miei familiari e amici, che la usavano perché la trovavano molto divertente, di fare lo stesso».
La faccenda quindi è stata da te “provata” sul campo. Hai avuto altre conferme?
«Sì, a distanza di qualche settimana, sempre in un altro gruppo su Twitter. Praticamente veniamo a conoscenza, perché viene condiviso il file pdf, del report di una società americana che si occupa di cybersecurity per conto del Governo americano: gli esperti hanno analizzato l’applicazione, riscontrando le identiche criticità che aveva evidenziato il mio amico hacker ucraino. La conclusione, alla fine del report, è che questa applicazione sia come una vera a propria arma digitale. E, ovviamente, anche la società americana sconsiglia di farla utilizzare da chi maneggia dati sensibili, quei cittadini che lavorano per il Governo. Immagina un telefonino in uso ad un deputato, ad un manager d’industria. Ed è stato questo report ad aprire la breccia, abbiamo cominciato a parlarne in altri gruppi e abbiamo deciso tutti di bannare l’applicazione».
Lo stesso discorso si può fare con i social, tipo Facebook allora?
«Non è proprio così: TikTok è una applicazione di fatto di proprietà di un gruppo cinese, la ByteDance, e, come è noto, la legge impone a tutte le aziende che operano sul territorio che, alla minima richiesta del governo, si debbano inviare tutti i dati di un utente. Quindi, immagina: oggi l’applicazione ha oltre un miliardo di utenti, quanti dati sensibili anche biometrici, quanti volti, quante foto potrebbero potenzialmente finire nelle loro mani? L’applicazione in Cina è disponibile in una versione diversa, limitata, come mai? Qui, in Italia, vediamo balletti, scherzi, situazioni divertenti. Invece sull’applicazione in uso ai cinesi ci sono solo determinati profili come i programmatori, i giovani ingegneri, i ricercatori. Si trasmette, nei fatti, attraverso quell’applicazione uno specifico modello di successo. Perché?».
Insomma se due indizi fanno una prova, c’è un terzo motivo per porsi qualche domanda rispetto all’utilizzo dell’applicazione?
«All’inizio, quando apparve l’app, vennero contattati numerosi creatori di contenuti che lavoravano su Instagram: a loro veniva proposto di spostarsi su TikTok, si tratta di influencer da migliaia e migliaia di follower. La leva? Quella economica, a colpi di migliaia di dollari ogni mese. Ovviamente, per ragioni economiche, moltissimi si sono convinti anche se i contenuti iniziali erano veramente stupidi, a volte al limite dell’indecenza. Ma venivano pagati profumatamente. Domanda: ma una società privata da dove prende tutti quei soldi, soprattutto se è all’inizio dell’attività? Tanto più che all’epoca, su TikTok, si passavano pochissime pubblicità, solo quelle che potevano pagare moltissimo. Anche noi avevamo pensato di proporre i nostri filtri ma non è stato possibile. Quindi, come è cresciuta questa applicazione in così poco tempo? La risposta è molto semplice: con i soldi iniettati indirettamente da altre strade. Forse governative?».
Quindi, ricapitolando: il trasferimento di dati avverrebbe in maniera inconsapevole da parte degli utenti, siano essi i nostri figli o personalità della politica e dell’industria. Questo rischio non coinvolge altre piattaforme social?
«No, a Facebook o Snapchat per dire, non interessa sapere chi è Fabio, chi è Lucia ma sapere quale tipologia di prodotto preferisce per scopi pubblicitari. Perché vendono queste campagne e sono interessati solo a questo aspetto grazie al quale sono cresciuti economicamente. Non certo per l’intervento di autorità nazionali».
Disinstallare l’applicazione, quindi?
«L’America ci sta ragionando, in Danimarca lo hanno già fatto e in Inghilterra pure. I governi non vogliono che i propri dipendenti usino TikTok sul cellulare perché c’è il pericolo che vengano trasferiti i dati sensibili.
Il mio consiglio? Disinstallare assolutamente questa applicazione il prima possibile. E invito anche i ragazzi a farlo: si potrebbero perdere facilmente le password, i documenti, le chiavi di accesso ai conti, si è geo-localizzabili sempre. Ci sono altre applicazioni che permettono di divertirsi senza correre alcun rischio, usiamo quelle».
E se lo dice il guru della realtà aumentata, che maneggia il mondo virtuale, ci sarà da farsi qualche domanda. E se non dovesse bastare, lo spiega bene anche l’editorialista del Corsera, Federico Rampini. Non si tratta di paranoia da guerra fredda ma di un duplice pericolo per la sicurezza nazionale e, ultimo ma non per ultimo, per la salute dei giovani.
ls

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