La carenza dei medici, l’impossibilità di dare risposte alle richieste dei pazienti, di fronteggiare le emergenze, di programmare interventi senza attese che, a chi dovranno subirli, sembrano infinite.
È la storia di Marino Sferra a disegnare concretamente gli effetti di una sanità ‘malata’, che fatica a dare risposte nei tempi che i pazienti desidererebbero.
Undici anni fa, il 13 agosto, Marino Sferra, per un incidente nei campi, fu sottoposto ad un complesso intervento chirurgico. Con la motosega si tranciò di netto il polpaccio.
Poi un’infezione da sala operatoria, racconta, e da lì inizia il suo calvario, in giro per gli ospedali: Belluno, il Gemelli di Roma, Cortina d’Ampezzo. Centri specializzati, viaggi della speranza che però non lo hanno risparmiato da quello che gli sta capitando.
L’osteomielite gli sta letteralmente divorando osso e tessuti: dal piede sinistro sono cadute già due dita. Un arto che non sembra avere alcuna vitalità, di un colorito che fa pensare al peggio.
«Non dormo più, la morfina che mi è stata prescritta dal chirurgo del San Timoteo che mi ha in cura, non fa più effetto. Io voglio che mi venga amputato il piede» racconta al telefono Marino, pronunciando parole che sembra impossibile possano venire solo pensate prima che verbalizzate.
Quando ha incontrato Assunta, la sua attuale moglie, hanno deciso insieme di provarci ancora: ci sarà un modo per risolvere, anche se questa soluzione significherà l’amputazione.
«Siamo andati al San Timoteo – racconta Assunta -, conosco bene il chirurgo: una prima visita, poi il day hospital prima di Pasqua, poi una terza visita e si è deciso per l’amputazione».
E qui tutto si ferma: le vacanze, le ferie e poi la comunicazione che li ha lasciati senza parole.
«Marino non può essere operato perché fino all’inizio di maggio al San Timoteo non ci sono anestesisti – racconta Assunta –, ci hanno detto che ci sono i medici venezuelani che non possono trattare questi casi. Ad inizio maggio ricominciano con i ricoveri».
La osteomielite – un’infezione dell’osso causata, in genere, da batteri, microbatteri o funghi, che raggiunge l’osso attraverso il sangue oppure si diffonde da un tessuto o da un’articolazione vicini all’osso o da una ferita contaminata – si è manifestata in tutta la sua virulenza.
E così Marino Sferra trascorre le sue giornate sul divano, in attesa di quel benedetto giorno in cui gli sarà amputato il piede.
L’infezione si sta propagando, i dolori sono lancinanti. E Marino e Assunta temono che non basterà solo amputare l’arto per fermare quel mostro che sta divorando i suoi tessuti. Temono che occorrerà andare oltre il piede.
«Ma vi pare possibile che non ci siano anestesisti?» dice, sconfortato, Marino.
E alla domanda sul motivo per il quale non si siano rivolti ad un altro ospedale della regione, spiega che la sua storia clinica è tutta lì, al San Timoteo: lì ha fatto gli esami, lì c’è il chirurgo che dovrebbe operarlo e di cui si fida, lì ha deciso di andare.
Ed è lì che adesso non potrà essere operato. Almeno fino ad inizio maggio, sperando che non sia troppo tardi.

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