«Mettiamoci in testa che viviamo in un territorio a rischio e che il processo di tropicalizzazione del clima ha raggiunto anche l’Italia. La domanda da porsi non è se un evento disastroso come quello di martedì (in Emilia Romagna, ndr) avverrà di nuovo, ma quando e dove si verificherà». Le parole pronunciate nelle scorse ore dal ministro per la Protezione Civile, Nello Musumeci, calano come una scure e fotografano una realtà ineluttabile: gli eventi climatici catastrofici sono purtroppo una eventualità ormai non più rara, con la quale le Istituzioni devono – e anche con urgenza – fare i conti in termini di prevenzione e di politiche adeguate da mettere in campo.
E il dato certificato dall’Istat, e riportato ieri dall’Ansa, fotografa la realtà: dal 2006 al 2021, a Isernia, la temperatura media annua è aumentata di circa 2 gradi, passando da 11,1 del 2006 (l’anno più freddo) a 13,2 nel 2021, mentre il più caldo, 13,8 gradi, è stato il 2018. In sensibile aumento anche le piogge: nel 2006 si erano registrati 709,2 millimetri, 1.211,2 nel 2021. L’anno più secco, il 2007 con 616,2 millimetri, il più ‘bagnato’ il 2010 (1.366 mm).
Un territorio, quello di Isernia e della sua provincia, che non è affatto nuovo ad episodi meteorologici straordinari: a gennaio, la pioggia battente caduta incessantemente per giorni, provocò allagamenti e straripamenti a Carpinone con danni ingenti alle attività produttive della piana. Stessa immagine che si può cogliere anche nelle zone limitrofe al capoluogo di provincia, come ad esempio nelle aree industriali che circondano la città.
La mancata pulizia degli argini dei fiumi ci mette del suo, ovviamente: motivo per il quale alcuni sindaci (quello di Montaquila in testa e con caparbietà, seguito poi dal collega di Carpinone per citare l’ultimo caso in ordine di tempo) chiedono e ottengono l’autorizzazione dagli enti competenti per provvedere con mezzi propri. Liberare gli argini, tenerli sempre adeguatamente puliti per evitare che i fiumi e i torrenti trovino intoppi ed ostacoli al loro defluire è (dovrebbe) essere la prima azione da porre in essere, in maniera metodica e regolare, da chi governa i processi attinenti al territorio. Le piogge sempre più violente e brevi, la siccità che rende i terreni aridi e impermeabili, le tantissime frane (piccole e gradi) che puntellano il territorio e che sotto il peso dell’acqua piovana si aggravano: lo scenario non è apocalittico e nemmeno da film di fantascienza, purtroppo. Una eventualità che si fa sempre più possibile, come dimostra la cronaca recente purtroppo. Di pari passo, cammina il consumo di suolo con costruzioni che spesse volte nascono lì dove non dovrebbero, la cementificazione che non tiene conto della possibilità di recuperare il patrimonio abitativo come soluzione per evitare nuove costruzioni.
Non è raro imbattersi, soprattutto nei piccoli centri della provincia, in paesi semi deserti dove intere zone sono disabitate mentre si continuano a costruire case nuove, appartamenti e villette.
E se l’Istat ‘misura’ la temperatura, l’Ispra mette nero su bianco un dato che dovrebbe essere considerato con la massima attenzione: in termini di suolo consumato pro capite, i valori regionali più alti risentono della bassa densità abitativa tipica di alcune regioni. In questa prospettiva, il Molise presenta il valore più alto (592 m2 /ab), pari a quasi 200 m2 in più rispetto al valore nazionale (366 m2 /ab), seguito da Basilicata (582 m2 /ab) e Valle d’Aosta (564 m2 /ab). Si tratta degli ultimi dati disponibili, quelli del 2021. La provincia di Isernia, stando sempre al report dell’Ispra che prende in considerazione il periodo compreso tra il 2006 e il 2021, parte con 4mila 952 ettari di suolo consumato (nel 2006) e arriva a 5mila 143 ettari nel 2021. Per abitante, 631,67 metri quadri. Il consumo di suolo, nella città di Isernia e nel 2021, fa registrare 595 ettari, 283,63 metri quadri per abitante. L’aumento è progressivo, a scorrere la tabella, costante. Non conosce picchi ma nemmeno tregue.
Un territorio che si spopola in maniera costante, dove cominciano a scarseggiare anche le prime sentinelle del territorio – gli agricoltori, ad esempio -, dove il dissesto idrogeologico è evidente: in base al rapporto Ispra 2021, l’ultimo al quale fare riferimento (e di cui Primo Piano Molise si è occupato nel settembre scorso, a margine degli eventi meteo estremi che travolsero allora le Marche, ndr), considerando l’area della provincia di Isernia – che si estende su 1.535 chilometri quadrati – 123,9 (km quadrati) sono situati in aree a pericolosità da frana molto elevata, 48,6 quelli in zona a rischio elevato, 55,1 in zona a rischio medio e 61,1 in zona a rischio moderato. In totale sono 245,3 i chilometri quadrati in aree di attenzione, 541,3 in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata. Il 18,5% del territorio della provincia. Dissesti che si abbattono sulla popolazione che convive con questo rischio elevato e che aumenta con il cambiamento climatico ormai evidente: la provincia contava 87mila 241 abitanti nel 2011 (rilevazione Istat considerata da Ispra per il report), di questi, 5mila893 vivono in zone a rischio molto elevato, 1.147 in zone a rischio frana elevato, 1.916 in aree a rischio medio e 729 a rischio basso. Sono 6mila 662 i cittadini a rischio in aree di attenzione, 7mila 040 invece i residenti che vivono in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata (l’8,1%).Numeri con i quali occorre fare i conti. Il prima possibile e prima che sia troppo tardi.
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